“E i marxisti russi maggiormente inclini all’azione rivoluzionaria si trovavano a dovere dare del marxismo un’interpretazione diversa e a dovere edificare altre teorie inerenti alla rivoluzione russa, a dovere elaborare insomma un’altra tattica. In quest’ala del marxismo russo la volontà rivoluzionaria aveva il sopravvento sulle teorie intellettuali e sull’interpretazione accademica e libresca del marxismo. Ciò portò alla fusione quasi inavvertita tra le tradizioni del marxismo rivoluzionario e le tradizioni del vecchio spirito rivoluzionario russo, restio ad ammettere che lo sviluppo della Russia dovesse attraversare lo stadio capitalistico: lo spirito rivoluzionario, intendo dire, di Cernysevskij, di Bakunin, di Necaev, di Tkacev. Non più Fourier, stavolta, ma Marx si univa a Sten’ka Razin. I marxisti d’indirizzo bolscevico si rivelarono ben più ancorati alla tradizioni russa che non quelli della linea menscevica. Sul puro terreno dell’interpretazione evoluzionistica e deterministica del marxismo, non era possibile giustificare una rivoluzione proletaria e socialista in un paese industrialmente arretrato, fondato su un’economia agricola e con una classe operaia debolmente sviluppata. Se il marxismo fosse stato inteso in questo senso, si sarebbe dovuto dapprima fare affidamento ad una rivoluzione borghese accompagnata dallo sviluppo del capitalismo, e soltanto in seguito avviare la rivoluzione socialista. E questa prospettiva non pareva molto propizia e atta a esaltare la volontà rivoluzionaria” [Nikolaj Berdjaev, Le fonti e il significato del comunismo russo. Con una nota di A. Kolosov, 1976]