“Lutero, vissuto nel periodo in cui la società borghese medioevale si andava dissolvendo negli elementi della società moderna – processo accelerato dal commercio mondiale e dalla scoperta di nuovi giacimenti auriferi – non conosce naturalmente il capitale che nelle due forme antidiluviane del capitale fruttifero di interesse e del capitale commerciale. La produzione capitalistica, già vigorosa nella sua fase iniziale, mentre cerca da una parte di assoggettare a viva forza il capitale monetario al capitale industriale – in Olanda dove si sviluppa prima sotto forma di manifattura e poi sotto forma di commercio all’ingrosso, lo scopo è raggiunto più presto che altrove; in Inghilterra è proclamato, nel XVII secolo come una condizione indispensabile della produzione capitalistica, anche se, in parte, in forme molto ingenue – dall’altra compie il primo passo, nel periodo di transizione, ‘riconoscendo’ nell’«usura», nella vecchia forma del capitale fruttifero di interesse, una delle condizioni, uno dei rapporti necessari della produzione. Più tardi, non appena il capitale industriale ha subordinato a sé il capitale fruttifero di interesse (XVIII, Bentham) ne riconosce la legittimità, lo riconosce come carne della sua carne. Lutero ‘è superiore’ a Proudhon. Non si lascia indurre in errore dalla differenza tra ‘prestare’ e ‘comprare’: in entrambi riconosce egualmente l’usura. La cosa più notevole nella sua polemica è che egli considera come principale punto di attacco l’idea che l’interesse ‘nasca dal seno stesso del capitale’. (…) Lutero ci spiega qui come è nato il capitale usuraio: dalla rovina dei piccoli borghesi (artigiani e contadini), cavalieri, nobili, principi. Da un lato il capitale usurario si appropria del plusvalore, e con ciò delle ‘condizioni di lavoro’ del contadino, dell’artigiano, in breve, del piccolo produttore di merci che può aver bisogno di denaro per effettuare i pagamenti prima di aver venduto la sua merce, o di comprare qualcuna delle sue condizioni di lavoro, ecc. Dall’altro, si appropria della ricchezza dei ‘rentiers’, cioè della ricchezza dissipatrice e godereccia. L’usura, in quanto raggiunge un duplice obiettivo: la formazione di un patrimonio finanziario indipendente, e l’appropriazione delle condizioni di lavoro, cioè la rovina dei possessori delle vecchie condizioni di lavoro, è un potente mezzo per la formazione dei presupposti del capitale industriale, un potente fattore della separazione delle condizioni di produzione dal produttore. Esattamente come il capitale commerciale. Entrambi hanno in comune il fatto di costituire un patrimonio monetario autonomo, cioè di accumulare nelle loro mani, sotto forma di denaro liquido, tanto una parte del plusvalore annuo, quanto delle condizioni di lavoro e della accumulazione del lavoro annuo. Il denaro che si trova effettivamente nelle loro mani non rappresenta che una piccola parte sia della tesaurizzazione annuale e annualmente accumulata, sia del capitale circolante. Il fatto di costituire un ‘patrimonio monetario’, significa che affluisce ad essi una parte considerevole della produzione annua sia dei redditi annui, non ‘in natura’ ma nella forma modificata del denaro. Nella misura in cui il denaro non circola attivamente come denaro contante, non è in movimento, si trova accumulato nelle loro mani, come in serbatoi del denaro circolante, e ancor di più si trovano accumulati nelle loro mani i titoli di proprietà sulla produzione, ma come titoli sulla merce trasformata in denaro, come titoli monetari. L’usura appare da un lato come la rovina della ricchezza e della proprietà feudale, dall’altro come la rovina della produzione piccolo-borghese, piccolo-contadina, in breve, di tutte le forme in cui il produttore è ancora proprietario dei suoi mezzi di produzione” [Karl Marx, ‘Storia delle teorie economiche. Libro quarto del ‘Capitale’. Volume III’, Roma, 1974]