“Del pari mi riesce incomprensibile l’affermazione di Sweezy che non si trovino passi di Marx «che siano specificamente indirizzati al problema della capacità o della preparazione del proletariato a costruire una società socialista», per cui sia necessario ricorrere alla teoria leniniana della coscienza apportata dall’esterno. Va osservato innanzi tutto che non si tratta di una teoria leniniana: l’affermazione contenuta nel ‘Che fare?’ è tratta di peso da un articolo di Kautsky della “Neue Zeit”; ed è noto che Kautsky fu un travisatore e non un interprete autentico di Marx (5). Per contro i passi di Marx e di Engels in senso contrario sono innumerevoli. «I socialisti e i comunisti sono i teorici della classe proletaria. ‘Finché il proletariato non si è ancora sufficientemente sviluppato per costituirsi in classe’, e di conseguenza la stessa lotta del proletariato con la borghesia, non ha ancora assunto un carattere politico (…) ‘questi teorici non sono che utopisti’, i quali (…) improvvisano sistemi e rincorrono chimere di una scienza rigeneratrice. ‘Ma a misura che la storia progredisce, e che con essa la lotta del proletariato si profila più netta, essi (…) devono solo rendersi conto di ciò che si svolge davanti ai loro occhi e farsene portavoce» (6). «Gli operai cominciano col formare coalizioni contro i ‘borghesi’, e si riuniscono per difendere il loro salario. Fondano persino associazioni permanenti per approvvigionarsi in vista di quegli eventuali sollevamenti. Qua e là la lotta prorompe in sommosse. Ogni tanto vincono gli operai; ma solo transitoriamente. ‘Il vero e proprio risultato delle loro lotte non è il successo immediato ma il fatto che l’unione degli operai si estende sempre più’. Essa è favorita dall’aumento dei mezzi di comunicazione prodotti dalla grande industria, che mettono in collegamento gli operai delle differenti località. ‘E basta questo collegamento per centralizzare in una lotta nazionale, in una lotta di classe, le molte lotte locali che hanno dappertutto uguale carattere. Ma ogni lotta di classe è lotta politica» (7). «Per la vittoria finale delle tesi proposte nel ‘Manifesto’, Marx ‘confidava esclusivamente e unicamente in quello sviluppo intellettuale della classe operaia, che non poteva non derivare dall’azione comune e dalla discussione» (8). «L’emancipazione della classe operaia deve essere l’opera della classe operaia stessa» (9). «L”Internazionale’ venne fondata per porre in luogo delle sette socialiste o semisocialiste la vera organizzazione della classe operaia per la lotta. Tanto gli statuti originari quanto l’Indirizzo inaugurale lo mostrano a prima vista. D’altra parte l’Internazionale non avrebbe potuto affermarsi se le sette non fossero già state distrutte nel corso della storia. Lo sviluppo delle sette socialiste e quello del vero movimento operaio sono sempre in proporzione inversa. Sino a che le sette hanno una giustificazione (storica), la classe operaia non è ancora matura per un movimento storico indipendente. ‘Non appena essa giunge a questa maturità, tutte le sette diventano essenzialmente reazionarie’ (…). E la storia dell’Internazionale è stata una ‘lotta continua del Consiglio Generale’ contro le sette e gli esperimenti dilettanteschi, che cercavano di prevalere sul movimento reale della classe operaia nell’interno stesso dell’Internazionale» (10). Si veda anche il preambolo al ‘Questionario’ preparato da Marx e pubblicato nella «Revue Socialiste» del 20 aprile 1880, dove parlando degli operai Marx dice che «’essi soltanto e non dei salvatori provvidenziali possono applicare energicamente i rimedi alle miserie sociali di cui soffrono». Come risulta chiaramente da questi testi, e dai molti altri che si potrebbero citare, è attraverso la lotta generalizzata della classe operaia della classe operaia che si forma la coscienza di classe e, cioè, la classe acquista maturità e dimensione politica. Da quel momento, i teorici, che prima erano utopisti, diventano dei semplici portavoce, e le sette scompaiono per far posto al movimento reale della classe. E’ questo processo che Marx definisce ‘geschichtliche Selbsttätigkeit’, cioè capacità creativa storica della classe operaia. E circa la possibilità di apportare agli operai la coscienza dall’esterno, che equivale ad attribuire agli intellettuali la capacità di educare il proletariato, basta ricordare la III glossa a Feuerbach: «La dottrina materialistica della modificazione delle circostanze e dell’educazione dimentica che le circostanze sono modificate dagli uomini e che l’educatore stesso deve essere educato. Essa è costretta quindi a separare la società in due parti, delle quali l’una è sollevata al di sopra di essa [società]. La coincidenza del variare delle circostanze dell’attività umana, o autotrasformazione, può essere concepita o compresa razionalmente solo come ‘prassi rivoluzionaria’». Non solo, ma Marx ha anche spiegato la ragione storica per cui la classe operaia può dare questi «uomini nuovi», che giustamente Sweezy ritiene indispensabili per fondare e gestire la nuova società: «Noi sappiamo che le forze nuove della società reclamano degli uomini nuovi che le padroneggino e facciano render loro un buon servizio. ‘Questi uomini nuovi sono gli operai’ (…). Gli operai inglesi sono i figli primogeniti dell’industria moderna. Essi non saranno certo gli ultimi ad aiutare la rivoluzione sociale provocata da quest’industria, una rivoluzione che significa l’emancipazione della loro classe in tutto il mondo, che è così universale come lo è il dominio del capitale e la schiavitù salariale» (11)” [Lelio Basso, ‘L’utilizzazione della legalità nella fase di transizione al socialismo’, (in) ‘Problemi del socialismo’, n. 5-6, settembre-dicembre 1971] [(5) «La coscienza socialista è quindi un elemento importato nella lotta di classe del proletariato dall’esterno, e non qualche cosa che ne sorge spontaneamente» (K. Kautsky, Die Revision des Programms der Sozialdemokratie in Oesterreich’, in ‘Die Neue Zeit’, XX, 1901-1902, n. 1). E’ noto che Lenin subì grandemente l’influenza della socialdemocrazia tedesca e che fino alla vigilia del 1914 non si accorse delle sue tendenze opportunistiche. Non è un caso del resto che lo stesso ‘Che fare?’ si apra con una citazione di Lassalle, come non è un caso che ancora nel 1905 Lenin scriva: «Dove e quando ho preteso di creare nella socialdemocrazia internazionale una tendenza particolare, ‘non identica’ a quella di Bebel e di Kautsky? (…) La completa solidarietà della socialdemocrazia rivoluzionaria internazionale in tutte le grandi questioni di programma e di tattica è un fatto assolutamente incontestabile» (‘Due tattiche della socialdemocrazia nella rivoluzione democratica’, in ‘Opere complete’, IX, Editori Riuniti, Roma, 1960, p. 57); (6) ‘Miseria della filosofia’, Editori Riuniti, Roma, 1969, pp. 106-107; (7) ‘Manifesto del Partito Comunista’, Einaudi, Torino, 1948, p. 104; (8) F. Engels, ‘Prefazione all’edizione tedesca del 1890’ del ‘Manifesto del Partito Comunista’, cit., p. 294; (9) ‘Indirizzo inaugurale e statuti provvisori dell’Associazione internazionale degli operai’, in ‘Opere’, cit., p. 763; (10) ‘Lettera di Marx a F. Bolte del 23 novembre 1871’, in ‘Opere’, cit. p. 761; (11) ‘Discorso nell’anniversario del «People’s Paper», in «People’s Paper» del 19 aprile 1856, ora in Mew, XII, p. 4 (corsivo nostro)] [Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM*]
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- Articolo pubblicato:4 Maggio 2016