“Dal concepire il materialismo come moto dialettico, derivano dunque parecchie conseguenze. Per la prassi è la nostra azione volontaria che determina i modi del nostro sviluppo; per la teoria della evoluzione invece noi semplicemente ‘subiamo’ una legge di sviluppo alla quale ci adattiamo. Il materialismo storico ‘non è dunque conciliabile con l’evoluzionismo’, perché non esiste uno sviluppo dello spirito all’infuori dei successivi terreni artificiali dai quali viene modificato. Il Darwinismo sociale, in quanto naturale evoluzione o spontaneo sviluppo della umanità, repugna alla concezione materialistica, dal momento che secondo questa «intuizione» l’umanità ha una storia che assai di rado è fatta di arbitrio ragionante, ma quasi sempre al contrario è determinata da occasioni esterne, in ordine alle quali, pone a se stessa le condizioni del proprio sviluppo. Questo sviluppo non è dunque ‘necessario’ in sé e per sé; ma condizionato e contingente. Il materialismo storico non è parimenti conciliabile con l’idea di progresso intesa qual legge immanente alle cose umane. Contraddice a questa concezione d’un progresso universale costante ed uniforme, la storia che è fatta anche di regressi (e Giambattista Vico si riferiva a questo aspetto degli accadimenti nel formulare la sua teoria dei corsi e ricorsi); che è fatta di discontinuità e disparità di sviluppo nel tempo e nello spazio, fra diversi popoli, dispersi nel tempo, in luoghi diversi. Ma chi già del materialismo storico ha assorbito la sostanza e cioè che tutta la realtà nel suo divenire è circostanziata, non può non repudiare il concetto di una filosofia storica a disegno, sia quella ad ordinamento provvidenziale di S. Agostino, o quelle pseudo scientifiche di Hegel e Darwin. Il progresso, quale serie graduata e continuata di stati umani o sociali, è relativo ed empirico. Non v’ha evoluzione naturale sincronica, ma piuttosto gli sviluppi dei popoli sono vari perché varie sono le condizioni artificiali dell’ambiente. Il progresso non è destino, fato, comando o legge, necessità; è movimento condizionato e limitato, e bisogna riconoscerlo anche se come lamentava il Lacombe «ci dispiace essere il giuoco del caso». Noi stessi siamo soggetti a questa casualità; onde noi marxisti non diciamo: «l’uomo è così»; diciamo soltanto: «l’uomo è così in quelle determinate circostanze». Ma se in tal maniera resta escluso il volontarismo di fronte alla evidenza di questo determinismo storico vario e complesso, parimenti resta confinato fuor del campo del Materialismo Storico, quel determinismo meccanico e causale che tutto il corso delle universali vicende, riduce ad automatico fatalismo. Negato l’idealismo, e con ciò la subordinazione assoluta della materia allo spirito, parve ad alcuni che il Materialismo Storico, volesse appoggiarsi sovra la inversione del rapporto negando ogni autonomia ed ogni efficacia alla vita dello spirito, ridotto a mera parvenza e riflesso del movimento delle cose. L’errore era spiegabile pensandosi da alcuni, per assonanza di nome, la nuova dottrina derivata dal materialismo metafisico. Se la materia procede con moto dialettico che le è proprio ed immanente, l’azione dall’uomo, la sua volontà nulla possono sul fatale andare delle cose. Antonio Labriola chiama questa maniera d’intendere il materialismo storico ‘una fatuità’, sebbene Enrico Leone il Rignano, Bernstein ed altri ancora l’abbiano inteso proprio così. Abbiamo già accennato che nella interpretazione di A. Labriola la dialettica reale non è unilaterale, ma essa comprende nel suo moto anche la coscienza umana secondo il concetto indicato da Marx; come rovesciamento della praxis, cioè di uno scambio di azione fra l’uomo e le combinazioni storiche (1). Orbene quando noi diciamo che la volontà dell’uomo non crea la sua storia, non intendiamo di dire che l’uomo la subisce semplicemente. La volontà, in quanto reagisce nel mondo materiale, anche per noi è un principio attivo che contribuisce allo sviluppo e di noi stessi e delle cose, perché concorre a modificare quelle condizioni storiche di circostanza e d’ambiente, da cui noi verremo nuovamente e diversamente circostanziati e condizionati. Non si nega una realtà alle ideologie, ai meditati disegni, ai piani politici; ‘si dice soltanto che essi non possono essere uno strumento di spiegazione’, perché sono precisamente quello che deve essere spiegato come derivato da un complesso di situazioni  e di circostanze date storicamente. Non dunque determinismo causale delle cose tra loro e dell’uomo rispetto alle cose; perché dato il movimento dialettico i vari movimenti non si succedono nella relazione di causa ad effetto, come se l’antitesi fosse contenuta nella tesi: «Il momento della antitesi non è implicito nella tesi, ma ha una realtà sua senza la quale non si verificherebbe la loro unità nella sintesi» (2). Non determinismo meccanico ma ‘determinismo complesso’ in quanto il cangiarsi del terreno artificiale su cui l’uomo si sviluppa, anche e soprattutto per opera dell’uomo, continuamente modificato, diventa a sua volta condizione e limite del successivo umano sviluppo” [Sandro Diambrini Palazzi, ‘Il pensiero filosofico di Antonio Labriola’, Bologna, 1922] [(1) A. Labriola, ‘Materialismo storico’, pag. 26; (2) R. Mondolfo, Mater. Stor. in F. Engels’, pag. 221]