“Il Labriola nel suo saggio, compiuto nel ’96, ‘Del materialismo storico’, aveva precisato con molta chiarezza vari punti: e cioè, come s’avesse ad intendere la dissoluzione della filosofia della storia, e in che modo marxismo, e magari evoluzionismo, offrissero, non delle «visioni» metafisiche, ma degli utili strumenti interpretativi dei fatti. «L’importante è d’intendere – diceva Labriola – che il progresso, la cui nozione è non solo empirica, ma sempre circostanziata, e perciò limitata, non istà sul corso delle cose umane come un destino e un fato, né qual comando di legge». Certi concetti servono – ribadirà altrove – a penetrare alle radici dei fatti, per risalire di là alla superficie degli eventi, in una veduta sempre «parziale», e in una situazione «plurale». «E perciò la nostra dottrina non può esser volta a rappresentare tutta la storia dell’uman genere in un una veduta comunque prospettica o unitaria, la quale ripeta, ‘mutatis mutandis’, la ‘filosofia storica a disegno’, come da Agostino ad Hegel, o anzi, meglio dal profeta Daniele al Signor De Rougemont» (26). Per Labriola il filo conduttore marxista era un metodo per ricercare ed intendere e, poi, agire ancora, fruttuosamente. «La nostra dottrina non pretende di essere la ‘visione intellettuale’ di un gran piano o disegno, ma è soltanto un ‘metodo’ di ricerca e di concezione. Non a caso Marx parlava della sua scoperta di un ‘filo conduttore’. E per tal ragione, appunto, è affine al darwinismo, che anch’esso è un metodo, e non è, né può essere un’ammodernata ripetizione della costruita e costruttiva ‘Naturphilosophie’, a uso Schelling e compagni». In verità al Croce la prima esperienza marxista, del resto conclusa come tale molto presto, alle soglie del secolo, servì soprattutto ad approfondire, o, meglio, a sentir con maggior vivezza, il suo problema allora più pungete del rapporto fra arte e storia. Quando, molto più tardi, volle far la storia di quel momento del suo pensiero, ebbe, fra l’altro, a notare: «al Labriola la teoria marxista del ‘sopravalore’ e il ‘materialismo storico’ importavano soprattutto ai fini pratici del socialismo; a me importavano al fine di quel che se ne potesse o no trarre per concepire in modo più vivo e pieno la filosofia e intendere meglio la storia. Né a lui la scienza era indifferente, né a me, in verità, l’azione pratica; ma l’accento che ponevamo sull’attività nostra era diverso e quasi opposto: la natura ci aveva addetti a diverso lavoro. Egli s’illuse per alcun tempo di aver trovato in me il suo collega e successore nella custodia e nella difesa della genuina tradizione marxistica, che era la forza del socialismo; ma io non mi feci alcuna illusione in proposito, e quella che egli chiamava pigrizia del letterato, era in realtà travaglio di pensatore, a suo modo politico nella cerchia sua propria» (27)” [Eugenio Garin, Cronache di filosofia italiana, 1900-1943. Volume primo’, Roma Bari, 1975] [(26 Cito dal vol. laterziano del 1938: ‘La concezione materialistica della storia’. Nuova edizione con un’aggiunta di B. Croce sulla critica del marxismo in Italia dal 1895 al 1900′; (27) Op. cit., p. 291. Cfr. ne «La Critica», XXI, 1923, pp. 180-2, la recensione al libro di S. Diambrini-Palazzi, ‘Il pensiero di A. Labriola’, Bologna, 1923. Scrive il Croce: «se io mi mettessi a passare in rassegna che cosa ho appreso … dal L… farei un lungo discorso. E, anzitutto, la concezione del filosofare come strettamente legato alla storia e alla vita morale e politica attuale, non par che si delinei in tutta la sua vita di studioso e di polemista? Da giovane, da studente, il Labriola congiunse volentieri alla filosofia la filologia…»]