“Non fu perciò affatto sconsiderato, ancorché lì per lì riuscisse incomprensibile ai più, l’Engels, quando, dopo aver conseguito all’Aja [Congresso dell’Aja, 1872, ndr], con il voto dei tedeschi, degli austro-ungarici, di qualche svizzero e polacco, e della maggior parte dei francesi, a cominciare dai blanquisti, l’approvazione delle tesi marxistiche sull’ampliamento dei poteri del Consiglio Generale [dell’Internazionale, ndr], ne propose improvvisamente il trasferimento da Londra a New York. A ciò si ribellarono naturalmente proprio i blanquisti, ma la proposta passò col voto dei belgi, accortisi che essa equivaleva alla liquidazione imminente di ogni autorità effettiva, pratica, del Consiglio Generale, il cui precedente rafforzamento statutario diventava puramente cartaceo e privo d’ogni sostanza. In tal modo, i belgi stessi potevano infatti dichiarare, con tutta la minoranza libertaria (di spagnoli, giurassiani e qualche altro), e senza con ciò assumersi la responsabilità diretta della scissione, che non si ritenevano impegnati dalle deliberazioni secondo loro contraddittorie o anti-statutarie del Congresso, che culminarono poi nell’espulsione di Bakunin, assente, e di Guillaume contro il quale mancava del resto la prova della partecipazione ad un’Alleanza segreta qualsiasi (14). La perdita della grossa organizzazione operaia belga, che avrebbe influito su parecchi gruppi nazionali minori ancora esitanti, costituiva indubbiamente, per la direzione marxista, uno scacco più grave della stessa ribellione dei blanquisti, che erano dopo tutto degli esuli, aventi bensì prestigio, ma privi stavolta (a differenza dai tempi del Secondo Impero) di contatti organici con il loro paese. Ma l’Associazione quale Marx l’aveva sempre concepita, cioè come la comunanza politica e sindacale di movimenti operai genuini, possibilmente legali, capaci di parlare un linguaggio suscettibile di esser inteso dall’opinione pubblica internazionale, doveva comunque subire un eclisse, date le condizioni generali di reazione trionfante. Il giudizio datone più tardi dall’Engels (in una lettera a Sorge del 1874) e cioè che l’Internazionale medesima era stata un prodotto del Secondo Impero, può dirsi invero calzante, con l’ovvia precisazione che si trattava di quell’Impero che con la guerra del 1859 aveva aperto un periodo storico, durato poco più di un decennio ma quanto fecondo, di crescenza e assestamento nazionali e politici in tutto il mondo civile, e di salutare liberalismo economico. Il nuovo periodo, conseguente alla vittoria della Prussia di Bismarck, avrebbe bensì reso la classe operaia tedesca la più importante in Europa, secondo il vaticinio marxista, ma in un processo più lungo e più rigido del precedente. Non era più ammissibile, scriveva Jean Philippe Becker a commento del Congresso dell’Aja, mettere i sogni al posto della realtà, ancorché spiacevole. Il socialismo, continuava, per essere “scientifico” deve tenere il passo “con lo sviluppo dei fatti politici ed economico-sociali”. Per poter riuscire, per avere forza genuina, la rivoluzione stessa ha da maturare, sovente, con lentezza. Ma, così almeno sperava il veterano del volontariato popolare, garibaldino ancor prima di Garibaldi, il giorno che nuove circostanze favorevoli avranno reso possibile l’eliminazione di tanti grossi ostacoli, la rivoluzione farà un nuovo “straordinario balzo in avanti” (15) [Leo Valiani, ‘Dalla prima alla seconda Internazionale’] [(in) Movimento Operaio’ n. 4, luglio-agosto 1953] [(14) De Paepe non andò all’Aja (ci furono Brismée, Coenen, Van den Abele, Victor Dave, P. Fluse) proprio perché non voleva essere implicato in scissioni. (…); (15) Cfr. lo scritto di J.Ph. Becker nella ‘Tagwacht’ di Zurigo, nn. 12/10/1872 sgg. e nel ‘Volkswille’ di Vienna, nn. 23/10/1872 sgg. Può essere forse questo il luogo per notare che se ancora un paio di mesi prima che Jean Philippe morisse (nel 1886), l’Engels insistette con lui perché scrivesse le proprie memorie politiche e gli offrì un aiuto finanziario a tale fine (cfr. ‘Die Briefe von Friedrich Engels an Eduard Bernstein’, Berlino, 1925, p. 182), è certo un vero peccato, lamentato già molti anni fa da Riazanov, che non si abbia di ‘old Becker’ una biografia adeguata, basata sul contenuto del suo ricchissimo archivio, che speriamo presto di nuovo accessibile agli studiosi. In proposito, ci si deve ancora limitare al suo ‘curriculum vitae’, compilato per Marx (pubblicato da Riazanov nel ‘Grünberg Archiv’, t. 4°), ai suoi scarni ricordi sull’esordio in Svizzera, apparsi sul ‘Republikaner Volksalender’, Zurigo, 1878, ai necrologi dell’Engels nel ‘Sozialdemokrat’ di Zurigo del 17.12.1886 e di W. Blos nella ‘Neue Zeit’, 1887, pp. 298 sgg, e a un opuscolo commemorativo (J. Ph. Becker ecc.) pubblicato a Zurigo e Ginevra nel 1889. Alcune lettere di J. Ph. Becker sono nel volume del Sorge, mentre altre a lui dirette furono pubblicate da Reinhold Rüegg nella ‘Neue Zeit’, 1888, pp. 449 sgg. Per noi sarebbe particolarmente interessante sapere qualcosa di più sulla sua collaborazione con i rivoluzionari siciliani e sull’aiuto armato (legione tedesca) che, in seguito ad un patto con l’ambasciatore Frapolli, aveva tentato, invano purtroppo, di recare alla Repubblica romana del 1849; nonché sulla sua attività a Napoli e a Genova nel 1860-61. In proposito si può segnalare un suo lungo appello ‘Ai tedeschi! datato da Napoli addì 28 gennaio 1861, che auspica la formazione di una legione tedesca garibaldina, disposta a combattere per la liberazione del Veneto e poi per la repubblica in Germania, finanziata dal “Fondo per la rivoluzione” sottoscritto dopo il ’48 dai tedeschi d’America. Il testo dell’appello, in traduzione italiana manoscritta, si trova nell’Archivio Motteler dell’Istituto di Amsterdam. La condizione che il Becker poneva, cioè l’indipendenza dell’iniziativa italiana anti-austriaca dal Bonaparte, non poté peraltro verificarsi. Cfr. in proposito il carteggio del Becker con Garibaldi (Museo del Risorgimento di Milano’, Archivio Garibaldino, Busta n. 266) e con Mazzini (‘Scritti editi e inediti’, vol. 71, ‘Epistolario’, vol. 42, Imola, 1936, pp. 237 sgg. e Rüegg, loc. cit., pp. 458-459). Cfr. anche il t. 3°, p. 386 sgg. e il t. 5°, p. 35 sgg e 208 dell”Epistolario’ di Lassalle (a cura di Gustav Mayer, Berlino 1925). Si aggiunga che l’ultima, ancora cospicua, aliquota del “Fondo per la rivoluzione” (circa 10 mila dollari) fu devoluta, grazie anche al vecchio Becker, al partito socialdemocratico tedesco (cfr. la lettera di Becker a Liebknecht, del 19.6.1876, nell’Archivio di quest’ultimo all’Istituto di Amsterdam)]
- Categoria dell'articolo:Nuove Accessioni
- Articolo pubblicato:3 Marzo 2016