“La ricerca è la avanguardia della produzione, sonda e verifica il terreno, indica la direzione da seguire. Quando non è all’altezza del suo compito può portare su strade senza uscita o fuori mano, fermando il progresso. Comunque sarebbe inutile che avanzasse più rapidamente della produzione, e le risulterebbe inoltre difficile staccarsi da questa produzione che la segue senza perdere le sue forze vitali, come Anteo staccato dalla terra. Il suo ruolo particolare ci vieta di considerare la ricerca come un settore specializzato dell’industria, anche se è evidente che ciò che la differenzia dalla produzione è il suo contenuto, e non la distinzione tra lavoro produttivo e non produttivo (1). Mentre la caratteristica della produzione è la ripetizione instancabile di un solo e unico processo lavorativo, – visto che non è la produzione in sé e per sé che costituisce la base della soddisfazione incessante dei bisogni dell’uomo, bensì la continua riproduzione, – l’attività di ricerca non ha bisogno di essere ripetuta (2) e i suoi risultati hanno effetto permanente, in quanto vengono applicati e non consumati. Questa distinzione non è sofistica, anzi ci permette di arrivare all’essenziale conclusione che mentre una duplicazione effettuata in un qualsiasi ramo industriale porta al raddoppio della produzione, è invece inutile raddoppiare solo quantitativamente il lavoro di ricerca. Non serve a niente neppure estendere adeguatamente l’attività in questione, se non si può far sì che il mutamento intervenuto nell’attività produttrice segua qualitativamente il suo ritmo.Il cambiamento qualitativo delle forze produttive costituisce in realtà l’elemento preponderante nell’interazione dello sviluppo delle forze produttive e della ricerca. Ne consegue che non è il limite superiore del ritmo del progresso che viene determinato dalle spese dell’attività di sviluppo, ma invece, inversamente, che è il livello necessario del costo della ricerca che dipende dal ritmo del progresso, esso stesso limitato dalle modifiche realizzabili nella produzione. La sopravvalutazione delle possibilità di aumentare il ritmo dello sviluppo economico accelerando o forzando il lavoro di ricerca, ossia il fatto di prendere l’effetto per la causa, proviene secondo noi proprio dalla separazione della ricerca dalla produzione e dal carattere di merce acquisito quindi dai risultati della ricerca stessa” [Ferenc Janossy, collaborazione di Maria Hollò, ‘La fine dei miracoli economici’, Roma, 1974] [(1) Marx non distingue il ‘lavoro produttivo’ e il ‘lavoro non produttivo’ sulla base della loro natura concreta, ma semplicemente secondo il criterio del loro inserimento o meno nel contesto di un’impresa capitalistica. Il lavoro di Leonardo da Vinci quindi non era un lavoro produttivo, per quanto le sue scoperte potessero essere importanti, mentre è produttivo il lavoro di un qualsiasi maldestro operatore in un istituto capitalistico di ricerca. La distinzione fra lavoro produttivo e lavoro non produttivo non ha assolutamente nulla a che fare con la differenza fra lavoro ‘socialmente necessario’ e lavoro ‘non necessario’. A questo proposito Marx scrive senza equivoci: “La stessa specie di lavoro può essere produttiva o improduttiva. Per esempio il Milton che scrisse ‘Il Paradiso perduto’ per cinque sterline, fu un ‘lavoratore improduttivo’. Invece lo scrittore che fornisce lavori dozzinali al suo editore è un lavoratore produttivo. Il Milton produsse il ‘Paradiso perduto’ per lo stesso motivo per cui un baco da seta produce seta. Era una manifestazione della ‘sua’ natura. Egli vendette successivamente il prodotto per cinque sterline. Ma il letterato proletario di Lipsia, che fabbrica libri (per esempio compendi di economia) sotto la direzione del suo editore, è un lavoratore produttivo; poiché fin dal principio il suo prodotto è sussunto sotto il capitale, e viene alla luce soltanto per la valorizzazione di questo. Una cantante che vende il suo canto di propria iniziativa è una ‘lavoratrice improduttiva’. Ma la stessa cantante, ingaggiata da un imprenditore che la fa cantare per far denaro, è una ‘lavoratrice produttiva’; perché essa produce capitale” (K. Marx, ‘Teorie sul plusvalore, Editori Riuniti, Roma, 1971, I, pp. 599-600); (2) La ripetizione di una esperienza, che serve a controllare risultati anteriori, o la ripetizione che tende ad evitare la protezione dei brevetti, non è certo una vera e propria ripetizione. La stessa cosa si verifica per la ripetizione a scopo formativo, ad esempio di un nuovo gruppo di ricerca. Non bisogna lasciarsi indurre in errore dal fatto che bisogna ripetere un numero incalcolabile di volte i passi isolati dell’attività di ricerca, spesso anche come semplice routine, dato che questi costituiscono sempre i medesimi elementi di attività di ricerche diverse, combinati fra di loro in modo diverso e tale da portare a risultati uniti]