“[La] complessa, ampia e interessante ricerca di De Giovanni (2), che si basa per la maggior parte su una lettura del ‘Capitale’ articolata intorno al II libro, come il libro della sfera della riproduzione, dove implicitamente si possono leggere le categorie politica marxiane. Come osserva acutamente N. Badaloni (3), De Giovanni, scegliendo il II libro, elude e lascia in ombra il tema degli schemi di riproduzione, il punto cruciale del dibattito della II Internazionale, poi degli “epigoni” teorici della crisi del movimento operaio (Stemberg, Grossmann, Moskowska). Infatti tale dibattito che rappresenta poi la discussione intorno all’accumulazione capitalistica, implica una precisa lettura del partito in relazione alla composizione di classe: l’azione sindacale come momento di dinamismo e di educazione rivoluzionaria, di crescita di coscienza capace di accompagnare e segnare con la propria iniziativa soggettiva di massa la possibilità dell’imbarbarimento , sottesa all’ipotesi sotto-consumistica di Rosa Luxemburg nella sua polemica con l’ “arciriformismo” baueriano; l’assunzione della centralità dell’intervento dello stato e della direzione e organizzazione statuale dell’economia nelle tesi disproporzionalistiche di Hilferding ma anche di Lenin da cui un partito che si impone alla composizione di classe portandovi dentro – con la mediazione dello Stato operaio – le sue esigenze organizzative, le leggi dell’accumulazione “socialista, anziché modellarsi sui suoi bisogni, rivendicativi e politici; una analisi infine radicalmente endogenistica come quella di Grossmann, che riporta la genesi della crisi e quindi della sproporzione fra i settori I e II degli schemi di riproduzione marxiani agli aumentati bisogni (anche “politici”) di investimento in capitale costante, e che dunque impone di riconoscer la ingestibilità della crisi da parte operaia, la sua incontrollabilità tramite una programmazione svolta in termini esclusivamente economici. (…) Tale problematica, con tutte le fratture che impone, resta così fuori dall’analisi di De Giovanni che invece si appunta – con estrema finezza nel seguire la complessità delle forme e delle dislocazioni di livello del discorso marxiano che non si possono qui jné riassumere né tanto meno confutare puntualmente – sul movimento dei tre cicli capitalistici e in modo particolare sul III, il capitale-merce, che rappresenta il risultato e il luogo dove si realizza e si riassume il ciclo del capitale monetario e del capitale produttivo. “Riproduzione e teoria delle classi” si intitola un paragrafo centrale della ricerca: in esso, tra l’altro, si accusa di scarso interesse dei teorici revisionisti della socialdemocrazia – Bernstein e Kautsky – per la pubblicazione del II libro del ‘Capitale’ perché esso “avrebbe ‘minore interesse’ del primo per la classe operaia a cui importerebbe solo la produzione del plus-valore nella fabbrica” (4). Senza voler essere difensori dell’ iperriformista Kautsky rivalutandone il fabbrichismo presunto, bisogna tuttavia sottolineare che la centralità della riproduzione nella teoria delle classi on è un livello segreto celato nelle pieghe del discorso marxiano. Non è solo un livello che un’ermeneutica più fine può far emergere e la cui mancata ricezione è da addebitare alle carenze teoriche del movimento operaio fino alla ricerca gramsciana. Quest’ultima interamente impegnata – secondo De Giovanni – a leggere le contraddizioni implicite nella forma di valore (in cui si dà il processo produttivo nella società capitalistica) nell’analisi della riproduzione e del “tessuto istituzionale” che essa implica. (…) La sfera della riproduzione è fondamentale poiché in essa come luogo dove il processo di produzione si fa rapporto di proprietà, percezione di rendita, soddisfazione di bisogni, ricompaiono e si estendono le contraddizioni della sfera della produzione. Nella tensione fra composizione tecnica e politica di classe, composizione del capitale e istituzioni dello stato capitalistico, si possono così individuare le categorie per la fondazione di una teoria marxiana delle classi (e quindi del partito). Al contrario De Giovanni non vede come reale e ‘storico’ l’insorgere di tale contraddizione nuova, di tale centralità della sfera riproduttiva, ma la interpreta solo come portatrice di un primato logico-formale dal quale fa discendere il fatto che le istituzioni, che mediano i rapporti di proprietà e i bisogni, contestano una dislocazione dei rapporti di forza, di consenso, delle capacità di organizzazione dei bisogni sociali da parte della classe dei produttori” (pag 70-73) [Maria Grazia Meriggi, ‘Egemonia e riproduzione. Su «Teoria politica delle classi nel capitale» di B. De Giovanni. (Note)’, Aut Aut, Milano, n. 159-160, maggio-agosto 1977, pag 67-72] [(2) B. De Giovanni, ‘La teoria politica delle classi nel “Capitale”‘, De Donato, Bari, 1976; (3) Cfr. ‘Teoria politica delle classi e base materiale del comunismo’, “Critica marxista”, 3-4, 1976. Nell’articolazione teorica interna al “riformismo operaio”, Badaloni ricopre un ruolo del tutto specifico come coerente assertore della centralità della produzione immediata e dell’effetto di padronanza esercitato dal controllo dei produttori sulla “fascia di natura umanizzata” che include il capitale costante]