“Ai sostenitori di una concezione del diritto secondo cui questo sarebbe soltanto espressione della classe dominante, Marx dà la più recisa smentita. Ci sono, è vero, nei testi di Marx, delle frasi a cui ci si può aggrappare per affermare che il diritto e la legislazione sono l’espressione della classe dominante, e che quanto si fa in questo campo non giova che a rafforzare la classe dominante. C’è un brano famoso di Marx, nella ‘Critica del programma di Gotha’, in cui egli dice che il diritto non può essere mai più elevato della configurazione economica e dello sviluppo culturale, da essa condizionato, della società. C’è un brano meno noto della sua autodifesa del ’49, davanti alla corte di assise di Colonia, dove pure si parla del diritto come espressione della società: della società, si badi, non della classe dominante, della società con le sue lotte, con le sue divisioni, con la presenza in essa della classe operaia. Ma la lotta di classe è una lotta che si combatte per il potere, questo lo ha insegnato Marx, e quindi si combatte anche per il diritto. La classe operaia partecipa a queste lotte, e il potere non è un monolite, non è qualche cosa che sia interamente e in blocco al servizio della classe dominante. Il potere è la risultante di uno scontro permanente di forze, nel quale siamo presenti anche noi, come classe operaia, come movimento operaio. E il potere effettivo risulta da questo scontro di forze, e quindi non è interamente al servizio della controparte. Certo, poiché riflette una società in cui i rapporti di forza sono a favore della classe dominante, è soprattutto espressione della classe dominante: ‘soprattutto’ non ‘esclusivamente’. Su questo punto Marx è assolutamente esplicito. Come voi sapete, Marx si è battuto con grande impegno in favore di due conquiste legali in Inghilterra. All’epoca della Prima Internazionale si batté per il diritto di voto, che allora non era universale e che, pur senza diventare universale, fu esteso nel ’67 anche a larghi strati operai, e Marx si vantò che l’Internazionale, che egli dirigeva, era stata l’elemento motore della lotta per l’allargamento del suffragio. L’altra conquista fu la legislazione sulle fabbriche, alla quale egli dedicò delle pagine indimenticabili del ‘Capitale’ e di altri suoi scritti, e che per lui fu un tema fondamentale. Tema fondamentale non solo e non tanto perché quella legislazione migliorava la condizione della classe operaia nelle fabbriche, perché riduceva a 10 le ore di lavoro o perché stabiliva condizioni igieniche e sanitarie migliori, perché diminuiva il lavoro notturno delle donne e dei bambini: questi erano certamente dei miglioramenti; ma non erano l’essenziale. L’elemento essenziale per Marx era che una legislazione di questa natura appariva ai suoi occhi l’intrusione, all’interno del vecchio sistema di leggi, di una logica nuova, di una logica socializzatrice della classe operaia, di una logica socializzatrice delle forze produttive. Nell’indirizzo inaugurale dell’Internazionale nel ’64 dice che la limitazione legale delle giornate di lavoro “toccava invero la grave controversia fra il cieco dominio delle leggi dell’offerta e della domanda, che costituiscono l’economia politica della borghesia, e la produzione sociale regolata dalla previsione sociale, che è l’economia della classe operaia”. Non che la legislazione sulla fabbriche fosse già l’economia regolata dalla previsione, ma era un elemento di questa, era un elemento intorno a cui è possibile costruire una logica antagonistica. Aggiungeva perciò che “la legge delle 10 ore non fu soltanto un grande successo pratico” perché diminuì la fatica dell’operaio, ma “fu la vittoria di un principio. Per la prima volta, alla chiara luce del giorno, l’economia politica della borghesia soggiaceva all’economia politica della classe operaia”. Queste poche righe sono, a mio giudizio, l’espressione essenziale del pensiero marxista su questo punto. E ancora: “Noi consideriamo la riduzione delle ore di lavoro come la condizione preliminare senza la quale tutti gli ulteriori tentativi di miglioramento e di emancipazione abortiranno”. “Questo può essere compiuto solamente mediante la trasformazione della ‘ragione sociale in forza sociale'” (…)” [Lelio Basso, ‘Giustizia e potere’, articolo in rivista ‘Problemi’, n. 31 Gennaio-Marzo 1972]
- Categoria dell'articolo:Nuove Accessioni
- Articolo pubblicato:2 Febbraio 2016