“Poiché Marx non si è preoccupato di salire alla ribalta del dibattito regionale, potrebbe sembrare superfluo riferirsi alla dimensione regionale della sua analisi. Ma, in realtà, vi è in Marx molto materiale su aspetti regionali virtualmente inesplorato la cui rilevanza per i problemi regionali delle economie capitaliste contemporanee è indiscutibile. Molti dei fattori che sono stati successivamente inclusi nella teoria dello squilibrio regionale del tipo di Myrdal e di Perroux erano stati anticipati da Marx. Ma Marx ha anche collegato le caratteristiche del meccanismo di sviluppo delle economie capitaliste con lo squilibrio regionale in modi che non sono stati approfonditi dalla moderna scuola dello squilibrio. In generale, la “modernità” della sua analisi è sorprendente. Uno dei fattori chiave che Marx aveva individuato è la misura in cui la concentrazione spaziale della produzione in aree particolari non è causata in primo luogo dai giacimenti di materie prime o dalla necessità di ridurre i costi di trasporto ma dalla concentrazione settoriale della produzione (1). La concentrazione dei mezzi di produzione in grandi unità conseguente all’introduzione delle macchine e alla produzione su vasta scala ha creato un’industria moderna che ha soppiantato i precedenti produttori artigianali maggiormente dispersi. Secondo Marx, “la produzione capitalista comincia realmente solo quando (…) il processo lavorativo s’estende e si ingrandisce e fornisce prodotti su scala ‘quantitativa’ piuttosto considerevole” (2). Una caratteristica chiave è costituita da un cambiamento della condizione dei lavoratori in relazione ai nuovi mezzi di produzione, ove l’organizzazione di macchine collegate tra loro comporta che “le macchine parziali si tengono occupate costantemente e reciprocamente (e si) crea una determinata ‘proporzione’ fra il loro numero, il loro volume e la loro velocità” (3). Questo macchinario per la produzione di massa e la creazione di macchine automatiche che a loro volta fabbricano macchine riducono l’abilità del produttore artigianale all’esecuzione di una operazione singola (e talvolta a un’attività di supervisione). Mentre in precedenza la macchina era lo strumento del lavoratore artigiano, questi diviene ora lo strumento della macchina. Egli non è più un padrone capitalista che possiede il suo macchinario (4). L’aspetto più noto dell’analisi di Marx dell’introduzione della produzione su vasta scala in un sistema capitalistico è costituito dalla sua funzione nello spostare il lavoro. Il principale contesto di tale spostamento è rappresentato dalla stessa industria capitalista moderna, ove la capacità delle macchine di ridurre i costi spinge il capitalista a spostare i lavoratori dalle macchine di una generazione a quelle della generazione successiva. Tale impiego delle macchine attira prima il lavoratore nella fabbrica (probabilmente insieme alla moglie e ai figli) e quindi lo sposta a seconda delle necessità del capitalista di ridurre i costi mediante la sostituzione del capitale fisso (impianti, macchinari, ecc.) al capitale variabile (lavoro). Marx non assume che ciò comporti una crisi di sottoconsumo in qualsiasi circostanza giacché “cresce in primo luogo la produzione delle altre branche che le forniscono i suoi mezzi di produzione”. Conseguentemente, “benché le macchine soppiantino di necessità gli operai nelle branche di lavoro dove vengono introdotte, possono tuttavia provocare un aumento di occupazione in altre branche di lavoro”. L’industria capitalista moderna crea anche occupazione giacché apre nuovi mercati mondiali sia per le materie prime che per i prodotti finiti e promuove la domanda di lavoro per la creazione di nuove infrastrutture (canali, bacini, gallerie, ponti, ecc.). Marx riconosce anche che “si formano, o direttamente sulla base delle macchine, o ad ogni modo della generale rivoluzione industriale che corrisponde alle macchine, branche della produzione del tutto nuove, e quindi nuovi campi di lavoro” (5). Marx illustra in maniera dettagliata ciò che in termini contemporanei potrebbe essere chiamata una “spinta alla domanda” di lavoro in questi settori dell’industria moderna. “Alla produzione capitalista non basta affatto la quantità di forza-lavoro disponibile che fornisce l’aumento naturale della popolazione. Per avere mano libera essa abbisogna di un esercito industriale di riserva ‘indipendente da questo limite naturale'”. I salari possono aumentare quando la produzione diviene più estensiva (quando aumenta il capitale variabile). “Se per esempio a causa di una congiuntura favorevole l’accumulazione è particolarmente forte in una data sfera di produzione, i profitti vi sono maggiori di quelli medi e il capitale addizione preme per entrarvi, la domanda di lavoro e il salario saliranno naturalmente”. Il lavoro viene attirato in queste particolari sfere di produzione quando la giornata lavorativa viene allungata al massimo fisicamente possibile (in mancanza di una legislazione statale) o al massimo legalmente possibile (quando esiste una legislazione statale sulle ore di lavoro); l’esercito di riserva dell’area urbana viene allora spinto nella fabbrica (l’esercito di riserva delle donne e dei bambini, a meno che non esista una legislazione contraria all’occupazione dei bambini). Ma la domanda di lavoro dei produttori urbani viene allora soddisfatta mediante l’emigrazione del lavoro agricolo eccedente: “Una parte della popolazione rurale si trova quindi costantemente ‘sul punto’ di passare ‘fra il proletariato urbano o il proletariato delle manifatture’, e in agguato per acciuffare le circostanze favorevoli a questa trasformazione. (Manifattura qui nel senso di ogni industria non agricola)” (6)” [Stuart Holland, ‘Capitalismo e squilibri regionali’, Roma Bari, 1976] [(1) Karl Marx, Il Capitale, Roma, 1967, p. 711; (2) Ivi, p. 363. Secondo Marx, la produzione capitalista è, ovviamente, intrinsecamente legata anche all’alienazione del plusvalore del lavoratore, al di là e al di sopra del suo valore di sussistenza socialmente necessario. Ma, come egli stesso osserva (ivi, p. 269), il capitale non ha inventato il plusvalore che precedentemente era alienato dai lavoratori in una forma diversa (ad esempio; le prestazioni di lavoro nel sistema feudale); (4) Ivi, p. 423; (5) Ivi, pp. 487-90. Tuttavia, Marx osserva inoltre che “lo spazio che questi nuovi campi di lavoro prendono nella produzione complessiva non è affatto considerevole, neppure nei paesi più progrediti” (ivi, p. 490); (6) Ivi, pp. 695, 699, 703]