“«La suprema bellezza della produzione capitalista consiste in questo, che non soltanto essa riproduce costantemente il salariato come salariato ma che, ‘proporzionalmente all’accumulazione del capitale, essa fa sempre nascere dei salariati in soprannumero’. La legge della domanda e dell’offerta è così sempre mantenuta nella carreggiata più conveniente, le oscillazioni del salario si muovono entro i limiti più favorevoli per lo sfruttamento, e infine la subordinazione tanto indispensabile del lavoratore al capitalista è garantita» (41). Così si esprime Marx nell’ultimo capitolo (‘Teoria della colonizzazione’) del primo libro del ‘Capitale’. E’ a tutti manifesto che tale non è stato il corso della Storia. I salariati non sempre sono in soprannumero; i salari non oscillano «fra i limiti più favorevoli allo sfruttamento», progrediscono in valore reale nella misura in cui progredisce la produttività del lavoro; i sindacati hanno sostituito, nei paesi più sviluppati, alla pura e semplice subordinazione del lavoratore al capitalismo delle relazioni spesso contrattuali e a volte prossime a rapporti fra eguali. Ne consegue quindi che il quadro generale dato da Marx dell’evoluzione capitalista è in parte vero, in parte falso, in parte eccessivo. «Questa espropriazione si compie attraverso il gioco delle ‘leggi immanenti della stessa produzione capitalista’, attraverso ‘la concentrazione dei capitali’. Ogni capitalista ne colpisce a morte molti altri per suo conto. Di pari passo con questa centralizzazione, ossia con l’espropriazione di molti capitalisti da parte di pochi, si sviluppano su scala sempre crescente la forma cooperativa del processo di lavoro, la consapevole applicazione tecnica della scienza, lo sfruttamento metodico della terra, la trasformazione dei mezzi di lavoro in potenti mezzi di lavoro utilizzabili solo collettivamente, la economia di tutti i mezzi di produzione mediante il loro uso come mezzi di produzione del lavoro combinato, sociale, mentre tutti i popoli vengono via via intricati nella rete del mercato mondiale e così si sviluppa in misura sempre crescente il carattere internazionale del regime capitalistico. Con la diminuzione costante del numero dei magnati del capitale che usurpano e monopolizzano tutti i vantaggi di questo processo di trasformazione, cresce la massa della miseria, dell’oppressione, dell’asservimento, della degenerazione, dello sfruttamento, ma cresce anche la ribellione della classe operaia che sempre più s’ingrossa ed è disciplinata, unita e organizzata dallo stesso meccanismo, dal processo di produzione capitalistico. Il monopolio del capitale diventa un vincolo del modo di produzione, che è sbocciato insieme ad esso e sotto di esso. La centralizzazione dei mezzi di produzione e la socializzazione del lavoro raggiungono un punto in cui diventano incompatibili col loro involucro capitalistico. Ed esso viene spezzato. Suona l’ultima ora della proprietà privata capitalistica. Gli espropriatori vengono espropriati» (42). E’ vero che progrediscono «l’applicazione tecnica della scienza» e l’allacciamento di tutti i popoli nella rete del mercato mondiale, è però esagerato rappresentarsi la concentrazione del capitale sotto forma di esproprio della maggior parte dei capitalisti a profitto soltanto di una piccola minoranza, è falso che questo processo trascini con sé «miseria, oppressione, asservimento, degenerazione, sfruttamento» delle masse popolari. Il modo di produzione è effettivamente sociale: fa esplodere in una direzione l’involucro capitalistico, ma questa esplosione si opera all’interno del quadro legale dei regimi occidentali che i sovietici chiamano capitalisti” [Raymond Aron, ‘Delle libertà. Alexis de Tocqueville e Karl Marx. Libertà formali e libertà reali’, Milano, 1990] [(41) Marx, ‘Das Kapital, tomo XXIII, p. 726; (42) Karl Marx, ‘Il capitale’, libro I, tomo 3°, Roma, 1952, pp. 222-223]