“Una distinzione è tuttavia possibile da un altro punto di vista: si può ancora discernere, sia pure nella oscurità generale sul problema se l’osservazione pratica della crisi sia “negata” o “accettata” dalla teoria. ‘Cum grano salis’ è possibile collegare questi due aspetti della teoria borghese a due periodi del modo di produzione capitalistico, caratterizzabili secondo due forme specifiche della crisi. “Ricardo stesso, in verità, non sapeva niente delle crisi generali, mondiali, dovute al processo stesso di produzione. Le crisi dal 1800 al 1815 egli poteva spiegarle con la carestia di cereali dovuta alle cattive raccolte, con la svalutazione della moneta cartacea e delle merci coloniali ecc., perché, in seguito al blocco continentale, il mercato era contratto violentemente, per ragioni politiche, non economiche. Le crisi posteriori al 1815, poteva egualmente spiegarle sia con una cattiva annata, con una carestia, sia con la caduta dei prezzi del grano, perché avevano cessato di operare le cause che, secondo la sua propria teoria, durante la guerra e l’isolamento dell’Inghilterra dal Continente, dovevano rialzare i prezzi dei cereali, sia col trapasso dalla guerra alla pace e le conseguenti improvvise modificazioni nei canali del commercio… I fenomeni storici successivi, specialmente la periodicità quasi regolare delle crisi del mercato mondiale, non permisero più ai successori di Ricardo di negare i fatti o di interpretarli come fatti accidentali” (6). La svolta intercorsa tra questi due periodi indica nello stesso tempo un punto storico di culminazione; infatti non era più possibile che la teoria borghese si sviluppasse come teoria classica. Da questo momento è puramente astratto chiedersi se nel suo sistema Ricardo abbia detto sulla “fisiologia interna” del sistema capitalistico tutto ciò che è possibile dire nell’ambito borghese. Con il regolare ritorno delle crisi la natura storica del processo di riproduzione borghese si impose inevitabilmente alla coscienza e la forma storica del processo di riproduzione risultò senza equivoci dalla forma di questo stesso processo. Ma in tal modo anche l’orizzonte borghese dovette essere riconosciuto ‘come’ tale; secondo Marx un ulteriore sviluppo della scienza era pensabile soltanto sotto il segno del socialismo, come critica di questa scienza, mentre la scienza borghese lo era soltanto come apologetica ‘cosciente’. Quale espressione dà Marx alla prima variante della teoria borghese della crisi? Egli constata una grottesca spaccatura tra l’osservazione empirica e la teoria astratta. Come non si deve negare ‘che’ avvengano crisi, così non bisogna neppure ignorare l’incapacità dei teorici di portare al concetto questo fenomeno. “Quanto alle crisi, tutti gli autori che espongono il reale movimento dei prezzi, o tutti gli empirici che scrivono in dati momenti delle crisi hanno ignorato con diritto questa ciarlataneria sedicente teoretica, e si sono accontentati di ammettere che la dottrina della impossibilità di una saturazione del mercato è astrattamente vera in teoria, ma falsa nella pratica. La regolare ripetizione delle crisi ha abbassato in realtà le elucubrazioni di Say etc. a una fraseologia…” (7). Invece di indagare, come sarebbe logico, in che cosa consistano gli elementi che esplodono nella catastrofe, la teoria si accontenta di negare la catastrofe e, di fronte al ritorno empirico del fenomeno, si ostina a ripetere che “se la produzione si regolasse secondo i manuali, non si arriverebbe mai alla crisi” (8). Le crisi non avrebbero affatto il carattere della necessità, ma al contrario si verificherebbero per puro caso. Da parte sua Marx non si accontenta di constatare questa discrepanza, ma dimostra che la teoria borghese si nutre di equivoci elementari sulle implicazioni delle determinatezze formali economiche” [Helmut Reichelt, ‘La struttura logica del concetto di capitale in Marx’, Roma, 2016] [dal paragrafo ‘Digressione sulla teoria delle crisi’] [(6) ‘Theorien’, pp. 493 sgg.; trad. it. cit., vol II, p. 549; (7) Ivi, p. 496; trad. it. cit., vol II, p. 552; (8) Ibid.; trad. it. cit., vol. II, ibid.]