“Il capitalismo prima espropria il contadino e l’artigiano (37) e poi sfrutta il loro lavoro. La possibilità di sfruttamento dipende dall’esistenza di un margine tra la produzione netta totale e la sussistenza minima degli operai (38). Se in un giorno l’operaio non produce più di quello che mangia non è oggetto potenziale di sfruttamento. Questa idea è semplice, e può essere espressa in linguaggio semplice, senza usare una terminologia speciale. Ma appunto questo carattere semplice e fondamentale del capitalismo è perduto di vista nei labirinti dell’analisi economica classica. In secondo luogo Marx usa il suo metodo di analisi per affermare che soltanto il lavoro è produttivo (39). In sé questa è un’affermazione soltanto verbale. La terra e il capitale non producono ‘valore’, perché il ‘valore’ è il prodotto del tempo di lavoro. Ma la terra fertile e le macchine efficienti aumentano la produttività del lavoro in termini di produzione reale; infatti, “il capitale ha una propensione incessante ed una tendenza costante ad aumentare la forza produttiva del lavoro” (40). Sotto il capitalismo “la produttività del lavoro è allevata, come in una serra” (41). E’ lo stesso dire che il capitale è produttivo oppure che è necessario per rendere produttivo il lavoro. Quel che è importante è dire che ‘possedere’ capitale non è un’attività produttiva. Gli economisti classici considerando produttivo il capitale aggiungevano che i capitalisti sono benemeriti della società, e sono pienamente giustificati se traggono reddito dalla loro proprietà (42). Un tempo questo punto di vista poteva anche ritenersi plausibile almeno superficialmente perché non si distingueva tra proprietà e impresa. Oggi non si può più ammettere un simile metodo; il divorzio tra proprietà e impresa sta diventando sempre più completo e “l’ultima illusione del sistema capitalistico, che il capitale sia frutto del lavoro e del risparmio, è distrutta” (43). Il tipo dell’imprenditore non è più rappresentato dall’uomo d’affari ardito e infaticabile di Marshall, o dall’arraffatore scaltro e rapace di Marx, ma da una massa di azionisti inerti paragonabili ai ‘rentiers’, che stipendiano degli impiegati per amministrare i loro interessi” [Joan Robinson, ‘Marx e la scienza economica’, Firenze, 1951] [(37) Vol. I, Sezione VIII: “L’accumulazione primitiva”; (38) Vol. I, pagg. 156-160; Vol. III, parte II, pag. 319; (39) Vol. I, pagg. 170-173; Vol. III, parte II, pag. 362; (40) Vol. I, pagg. 276-275; (41) Vol. I, pagg. 585-574; (42) Vol. I, pagg. 403-390; (43) Vol. III, parte II, pag. 46]
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- Articolo pubblicato:27 Agosto 2015