“Marx, operando cronologicamente al centro di una fase storica che è stata definita “la pace dei cento anni” [Polanyi, 1974], da quell’irriducibile spirito critico che è, si pone in diretta polemica nei confronti del “pacifismo borghese”. Con questa espressione egli stigmatizza sia il pensiero di liberali come Bentham, sia quello di socialisti “utopisti” come Proudhon, per non parlare del senso comune di una classe media che, se non aveva più da fronteggiare le terribili guerre del periodo napoleonico, era “spaventata a morte dalla rivoluzione” [Neumann 1971: 159]. Ben lungi dall’accettare l’Incompatibilità tra la (vecchia) società militare e la (nuova) società industriale teorizzata da Saint-Simon e da Comte, Karl Marx e Friedrich Engels (che pure apprezzavano alcune idee “socialiste” del primo dei due antesignani della sociologia) postulavano l’indissolubile legame tra la funzione produttiva del capitalismo e quella distruttiva della guerra [Battistelli 1990]. In luogo della cesura e della reciproca estraneità sancite dai positivisti tra guerra e industria, secondo i fondatori del socialismo scientifico è proprio nelle relazioni di mercato che la classe dominante svela la sua intima natura. “Nell’economia politica – nota il giovane Marx nei ‘Manoscritti economico-filosofici del 1844′ – troviamo ovunque il contrasto ostile degli interessi, la lotta, la guerra come fondamento dell’organizzazione sociale” [Marx, tr. it. 1968: 52]. Rispetto alle intuizioni di Marx sulla guerra, acute ma disorganiche, Engels si staglia come un profondo conoscitore (anche per l’esperienza personale di ufficiale di complemento in artiglieria e di membro dello stato maggiore rivoluzionario del Baden nel 1849) del fenomeno bellico e dell’organizzazione militare. Nella divisione del lavoro informalmente stabilita fra i due, i temi strategici erano (come vari altri argomenti politici piuttosto che teoretici) assegnati al “department” di Engels [Marx, Engels, 1972: 235]. I contributi “militari” di Engels spaziavano da corpose analisi nell’ambito di testi di teoria politica come l”Antidühring’, agli opuscoli di guida strategica per il movimento operaio, agli articoli su giornali britannici e americani di commento di campagne militari contemporanee quali le guerre di indipendenza italiane, la guerra di secessione americana, la guerra austro-prussiana ecc. Mentre le prime costituiscono applicazioni del materialismo storico al particolare settore militare, le seconde costituiscono analisi tecniche pressoché prive di connotati ideologici (3). Quest’ultima caratteristica, unita alla loro indubbia qualità, contribuisce alla popolarità di Engels come scrittore militare nel pubblico colto e presso gli esperti senza distinzioni politiche. Ciò, paradossalmente, a differenza delle interpretazioni critiche formulate da lui stesso e da Marx (ad. esempio ne ‘Il Diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte’), le quali avevano ricevuto un’accoglienza alquanto fredda non solo negli ambienti conservatori ma anche nel movimento socialista” [Fabrizio Battistelli, ‘L’interpretazione dei marxisti’, pag147-148] [(in) Costantino Cipolla, Alberto Ardissone, a cura, ‘La grande sociologia di fronte alla grande guerra’, Milano, 2015] [(3) Nella lettera all’inglese H.J. Lincoln del 30 marzo 1854, Engels scrive: “Quanto alla politica io la immischierei il meno possibile nella critica militare. In guerra vi è una sola linea politica giusta: attaccare con la massima rapidità ed energia, battere l’avversario e costringerlo a sottomettersi alle condizioni del vincitore (…). Per il resto mi atterrò al principio secondo cui la scienza militare, come la matematica e la geografia, non ha una particolare opinione politica” (Marx, Engels 1972: 638)]