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“Nel suo giudizio sulla Comune [‘La guerra civile in Francia’, ndr] Marx evita accuratamente l’uso della consunta terminologia democratica. «La Comune,» egli scrive, «non doveva essere un organismo parlamentare, ma di lavoro, esecutivo e legislativo allo stesso tempo» (2). In primo luogo dunque Marx pone non la particolare forma democratica della Comune, ma la sua essenza di classe. E’ noto che la Comune abolì l’esercito regolare e la polizia e decretò la confisca dei beni della Chiesa. Lo fece in nome della dittatura rivoluzionaria di Parigi, senza il permesso della democrazia generale dello Stato, che in quel momento aveva trovato un’espressione molto più «legale» nella Assemblea Nazionale di Thiers. Ma una rivoluzione non è decisa dai voti. «L’Assemblea Costituente era, » scrive Marx, «né più né meno che uno degli episodi della rivoluzione, la cui vera incarnazione rimaneva Parigi in armi». Come siamo lontani dalla democrazia formale! «Una volta stabilito a Parigi e nei centri secondari il ‘régime comunale’» scrive Marx, «il vecchio governo centralizzato avrebbe dovuto cedere il posto anche nelle province all’autogoverno dei produttori» (3). Marx vede che il vero problema della Parigi rivoluzionaria non era quello di un appello al debole volere dell’Assemblea Costituente, ma quello di estendere a tutta la Francia un’organizzazione centralizzata di Comuni, basata non sui principi esterni della democrazia ma sul genuino autogoverno dei produttori. Kautsky ha citato come un argomento contro la Costituzione sovietica il carattere indiretto delle elezioni, che contraddice le leggi della democrazia borghese. Ecco come invece Marx caratterizza la proposta struttura della Francia del lavoro: «Le Comuni rurali di ogni distretto avrebbero dovuto amministrare i loro affari comuni mediante un’assemblea di delegati con sede nel capoluogo, e queste assemblee distrettuali avrebbero dovuto a loro volta mandare dei rappresentanti alla delegazione nazionale a Parigi» (4). Marx non era per niente disturbato dai molti gradi di elezione indiretta, in quanto si trattava dell’organizzazione statale del proletariato stesso. Nel contesto della democrazia borghese, le elezioni indirette confondevano i confini delle classi e dei partiti; ma nell’«autogoverno dei produttori» – e cioè nello Stato della classe proletaria – esse non rappresentano un problema politico, ma un concreto problema di strumenti d’autogoverno, ed entro certi limiti esse possono offrire gli stessi vantaggi che presentano nel campo dell’organizzazione sindacale. Ma i filistei della democrazia si indignano dell’ineguaglianza esistente nella rappresentanza degli operai e dei contadini che, nella Costituzione sovietica, riflette la differenza dei ruoli rivoluzionari della città e della campagna. Marx scrive: «La Costituzione della Comune metteva i produttori rurali sotto la direzione intellettuale dei capoluoghi dei loro distretti e quivi garantiva loro, negli operai, i naturali tutori dei loro interessi» (5). Non si trattava di istituire un’uguaglianza formale tra il contadino e l’operaio, ma di elevare il contadino al livello dell’operaio. Tutti i problemi dello Stato proletario Marx li giudica secondo la dinamica rivoluzionaria delle forze reali, non secondo il gioco d’ombre del teatro del parlamentarismo” [Lev Trotsky, ‘Terrorismo e comunismo’, Milano, 1977] [(2) La guerra civile in Francia, Roma, 1950, p. 72; (3) Ibid., p. 73; (4) Ibid., pp. 73-74; (5) Ibid., pp. 75-76]