“Come si sa, la contraddizione interna del sistema è uno dei cavalli di battaglia di Marx nella critica al capitalismo. Secondo Marx la crescente accumulazione del capitale, e quindi il crescente aumento di produzione, entra in conflitto ad un certo punto con una insufficiente capacità di consumo “fondata su una distribuzione antagonistica, che riduce il consumo della grande massa delle società ad un limite che può variare solo entro confini più o meno ristretti” (Libro III, p. 343). Quest’analisi è errata, perché si basa sul falso presupposto che il salario sia regolato dal valore dei mezzi di sussistenza, e non possa discostarsi alla lunga da questo valore. In realtà invece il consumo delle masse si espande di pari passo con l’espansione della produzione generale. Cionondimeno è vero che le crisi nascono dall’incapacità del consumo di assorbire, oltre un certo limite, tutta la produzione di certi beni e da quel punto di vista la diagnosi di Marx – pur non potendo giungere, a causa della falsa ipotesi iniziale, alla vera natura del fenomeno – coglie intuitivamente nel giusto (7). La meccanica della crisi è quella diagnosticata da Marx, ma le cause sono altre: ‘la vera contraddizione interna del sistema capitalistico, che ad un certo punto lo paralizza e lo mette in crisi, sta nel fatto che la produzione e la distribuzione dei beni sono entrambe funzioni dirette dell’occupazione’. A causa di questo legame tra le due funzioni, nel momento in cui si raggiunge lo scopo della produzione, cioè l’abbondanza di prodotti, si nega la possibilità che questa abbondanza possa essere effettivamente goduta. Infatti, affinché la gente possa consumare deve avere un reddito monetario; ma se il reddito è legato al lavoro succede che ogni qual volta un processo produttivo giunge al punto di poter fornire una quantità di prodotti maggiore di quella che la comunità richiede (8) si crea questa inevitabile contraddizione: se si mantiene l’occupazione la gente potrà sì continuare a consumare, ma la produzione di certi beni salirà oltre il livello necessario a soddisfare i bisogni sociali e questi beni tenderanno ad accumularsi senza fine nei magazzini, cosa ovviamente impossibile ed assurda; se invece si ridimensiona la produzione dei beni nei settori saturi, e quindi si riduce l’occupazione di questi settori, coloro che perdono il lavoro perdono anche il reddito e dovranno quindi ridurre il consumo non solo dei prodotti  del loro settore, che sono già in eccesso, ma anche di prodotti di altri settori, che prima non erano in eccesso; perciò in seguito alla riduzione di occupazione in un settore, la situazione di eccesso produttivo potrà estendersi  anche ad altri settori, i quali saranno a loro volta costretti a ridurre la produzione e l’occupazione, sicché il consumo dovrà essere ulteriormente ridotto, e così di seguito in una progressiva spirale recessiva, che sfocia infine in quell’irrazionale e vergognoso fenomeno che è la crisi economica generale in un sistema capitalistico: disoccupazione e miseria nel bel mezzo di un’abbondanza di ogni sorta di beni, che si accumulano nei negozi e nei magazzini e che talvolta devono essere perfino distrutti ma che, per chissà quale misteriosa ragione, non possono essere utilizzati per fini per i quali erano stati prodotti. Il modo di produzione capitalistico, con la potenza della sua tecnica avrebbe forse per la prima volta nella storia dell’uomo la capacità di vincere la miseria su larga scala, ma come Sisifo col suo masso, sembra essere condannato a precipitare perennemente nella crisi ogni volta che sembra essere ad un passo dall’aver raggiunto la meta” [Pietro Manes, ‘Critica del pensiero economico di Marx. Le basi teoriche del socialismo liberale’, Bari, 1982] [(7) Altri, come Malthus, Hobson – che lo pone addirittura alla base dell’imperialismo – e anche per certi versi Keynes, attribuiscono la crisi ad un “eccesso di risparmio” e quindi anch’essi colgono, se vogliamo, nel giusto. Ma non si può dire a mio avviso che si tratti di “eccesso di risparmio”, cioè quasi di una volontaria astinenza dal consumo da parte del corpo sociale: si tratta in realtà, come è illustrato nel testo, di produzione eccessiva di certi beni rispetto ai fabbisogni effettivi; (8) Non aggiungo di proposito “a determinati prezzi” perché in economia politica, cioè nell’analisi macroscopica reale, non è il prezzo che determina la domanda, ma sono la domanda e l’offerta che determinano insieme il prezzo; e quando il prezzo scende al di sotto del costo vuol dire che in quella collettività, in quel momento storico, il mercato di quel prodotto è saturo. Uno dei più gravi errori cui conduce l’analisi statica male intesa è costituito proprio dalla falsa funzione che viene assegnata ai prezzi nell’analisi macroeconomica]