“Una volta che Marx ha raggiunto la prova che “le cause ultime di tutti i mutamenti sociali e di tutti i rivolgimenti politici non sono da ricercarsi nei cervelli degli uomini… ma nei mutamenti del modo di produzione e di scambio, non già nella filosofia ma nell’economia dell’epoca” (10) è giunto per lui il momento di fare i conti con la sistemazione teorica che i classici hanno dato all’economia politica. Per Marx il problema fondamentale era quello di cogliere ‘dialetticamente’ le contraddizioni dei suoi predecessori e portare coerentemente a conclusione logica l’intuizione della nuova realtà borghese ch’essi avevano innalzata a legge di natura eterna e immutabile. Le fasi successive di questa sua analisi critica del pensiero classico dovevano perciò essere necessariamente le seguenti: primo, isolare le forze dialettiche del movimento sociale; secondo, far vedere come queste agivano nella fase attuale (borghese) del loro sviluppo, caratterizzata dall’esistenza della proprietà privata dei mezzi di produzione, e delle due classi antagonistiche dei capitalisti e dei proletari. In ordine al primo punto Marx aveva già individuato le forze che sono alla base del movimento della società: le forze produttive che l’uomo mette in movimento per la soddisfazione dei propri bisogni vengono a cozzare contro la struttura dei rapporti di produzione che corrispondono a un certo grado di sviluppo delle forze produttive e dentro i quali l’uomo si trova a vivere in maniera indipendente dalla sua volontà. Da questo urto continuo tra forze produttive e rapporti di produzione nasce la successione dei vari tipi di società che si sono succeduti nella storia fino all’attuale forma capitalistica o borghese. Il “fine ultimo al quale mira”…Marx…”è di svelare la legge economica del movimento della società moderna” (11). Egli dunque inizia con la critica della sistemazione data dai classici all’economia politica e in particolare, con la ripartizione oramai tradizionale di questa in produzione, distribuzione, scambio e consumo. I classici come sappiamo consideravano questa sistemazione come qualcosa di immutabile e conforme alle leggi della natura. L’errore nasceva naturalmente dal fatto che i classici come sappiamo consideravano la forma di produzione capitalistica il punto di arrivo definitivo e insuperabile di una precedente evoluzione della società. Marx invece separa da queste categorie gli elementi universali validi per tutti i tempi e quelli caduchi, o storici, che valgono invece per un dato stadio di sviluppo delle forze produttive (12). Ciò fatto egli passa ad analizzare criticamente il concetto fondamentale dell’economia politica classica, il valore e la sua origine. Qui Marx trova che i classici si erano messi sulla strada buona ma avevano avuto paura di percorrerla fino in fondo. Per primi i fisiocratici avevano individuato l’origine del valore in un tipo particolare di produzione, l’agricoltura, sottraendolo alla sfera dello scambio dove l’avevano confinato i mercantilisti. In seguito Smith e Ricardo avevano generalizzato il concetto a tutti i tipi di produzione. Ma una volta assodato questo fatto e cioè più esplicitamente che il valore nasce dal lavoro applicato alla produzione sorgevano queste domande: si può misurare il valore? e in caso affermativo, in che modo? Smith e Ricardo in particolare avevano risposto bene a entrambe le domande, e più precisamente avevano affermato che il valore è misurato dalla quantità di lavoro necessaria a produrre le merci. Ma questa affermazione portava in un secondo tempo a far vedere che il lavoratore che partecipava alla produzione non riceveva l’intero frutto del suo lavoro, e perciò, per non concludere con una teoria dello sfruttamento entrambi avevano imboccato altre soluzioni che venivano meno alle premesse iniziali e prestavano il fianco alle critiche degli avversari. Marx si mantiene coerente alla prima intuizione dei classici e la porta alle logiche conseguenze” [Luigi Occhionero, ‘Economia politica. XXXIII lezione. Lo sviluppo del pensiero economico dai classici a Keynes. Karl Marx e la critica rivoluzionaria’, Roma, 1955] [(10) F. Engels, L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza’, Edizione in Lingue Estere, Mosca, 1947, p. 67; (11) K. Marx, ‘Il Capitale’, prefazione alla prima edizione, Ed. Rinascita, Roma, 1951, vol. I, p. 18; (12) K. Marx, ‘Introduzione alla critica dell’economia politica’, Ed. Rinascita, Roma, 1954, pp., 9-36]
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- Articolo pubblicato:30 Novembre 2015