“Marshall sapeva benissimo quello che realmente voleva dire Ricardo, ma non capì mai Marx. L’uso che fa Marx della teoria del valore-lavoro non era affatto la proclamazione pura e semplice che il lavoratore ha diritto al prodotto del suo lavoro. Al contrario, egli proclama che è proprio la teoria del ‘valore’ che spiega lo sfruttamento. Come gli altri, egli si trovò obbligato a fornire una teoria dei prezzi relativi, ma sebbene la ritenesse essenziale, noi vediamo bene che è irrilevante per il punto centrale del suo ragionamento. Nel primo volume del ‘Capitale’, Marx tratta dei prezzi relativi nel passo famoso: “Prendiamo poi due merci: p. es. grano e ferro. Quale che sia il loro rapporto di scambio, esso è sempre rappresentabile in una equazione, nella quale una quantità data di grano è posta come eguale a una data quantità di ferro, per esempio un ‘quarter’ di grano = un quintale di ferro. Che cosa ci dice questa equazione? Che in due cose differenti, in un ‘quarter’ di grano come pure in un quintale di ferro, esiste una cosa di comune e della stessa grandezza. Dunque l’uno e l’altro sono eguali a una terza cosa, che in sé e per sé non è né l’uno né l’altro. Ognuno di essi, in quanto valore di scambio, dev’essere dunque riducibile a questo terzo… Questo qualcosa di comune non può essere una qualità geometrica, fisica, chimica, o altra qualità naturale delle merci. Le loro proprietà corporee si considerano, in genere, soltanto in quanto le rendono utilizzabili, cioè le rendono valori d’uso. Ma d’altra parte è proprio tale astrarre dai loro valori d’uso che caratterizza con evidenza il rapporto di scambi delle merci… ma se si prescinde dal valore d’uso delle merci, rimane soltanto una qualità, quella di essere prodotti del lavoro. Eppure anche il prodotto del lavoro ci si trasforma non appena lo abbiamo in mano. Se noi facciamo astrazione dal suo valore d’uso, facciamo astrazione anche dalle parti costitutive e forme corporee che lo rendono valore d’uso. Non è più tavola, né casa, né filo, né altra cosa utile. Tutte le sue qualità sensibili sono cancellate. E non più nemmeno il prodotto del lavoro di falegnameria o del lavoro edilizio o del lavoro di filatura o di altro lavoro produttivo determinato. Col carattere di utilità dei prodotti del lavoro scompare il carattere di utilità dei lavori rappresentati in essi, scompaiono dunque anche le diverse forme concrete di questi lavori, le quali non si distinguono più, ma sono ridotte tutte insieme a lavoro umano eguale, lavoro umano in astratto… Queste cose rappresentano ormai soltanto il fatto che nella loro produzione è stata spesa forza lavorativa umana, è stato accumulato lavoro umano. Come cristalli di questa sostanza sociale ad esse comune, esse sono valori, valori di merci” (1). Gerald Shove, obiettando a chi scrive, che definiva questo discorso una “affermazione puramente dogmatica”, sostiene che si tratta di una dimostrazione (2). Ma è difficile scorgervi una dimostrazione: il ‘valore’ è ivi qualcosa di diverso dal prezzo, che rende conto del prezzo e che a sua volta deve essere spiegato. E spiegarlo con il tempo-lavoro è una mera asserzione. Se infatti definiamo il ‘valore’ come il tempo-lavoro richiesto per produrre una merce, e poi avanziamo l’idea che le merci normalmente vengono fatte oggetto di scambio a prezzi proporzionali ai loro ‘valori’, nel significato detto sopra, abbiamo allora ridotto il discorso da proposizione metafisica ad ipotesi; ma è un’ipotesi che sarebbe una perdita di tempo tentar di provare giacché sappiamo in anticipo e anche Marx lo sa, che non è accurata nei suoi termini. Questa teoria dei prezzi non è una favola, come la storia di Adam Smith dei castori e dei cervi. Né aveva lo scopo di costituire un contributo alla scienza: essa è semplicemente un dogma ortodosso. La combinazione delle idee del lavoro come misura del ‘valore’ e de lavoro come causa del ‘valore’ era ricavata da Ricardo, e, come vediamo dall’ultima opera di Ricardo (3), che Marx non lesse mai, non era affatto un’interpretazione errata; al contrario, era senz’altro nella direzione che lo stesso Ricardo aveva imboccata. Il punto cruciale dell’argomentazione consisteva in qualcosa di profondamente diverso. Accettando il dogma che tutte le cose si scambiano a prezzi proporzionali ai loro ‘valori’, Marx lo applica alla forza-lavoro. Questa è la chiave per spiegare il capitalismo” [Joan Robinson, a cura di Giacomo Becattini, Ideologie e scienza economica, Firenze, 1966] [(1) K. Marx, ‘Das Kapital’, 1867, trad. it. di D. Cantimori, Roma; 1951, vol. 1, pp. 49-50; (2) ‘Mrs Robinson on Marxian Economic’, ‘Economic Journal’, aprile 1944; (3) [Il manoscrttio su ‘Absolute Value and Exchangeable Value’ ricordato in precedenza]]