“Le guerre e l’espansione imperiale finanziate per mezzo del debito provocarono l’inflazione, la riduzione del reddito reale dei lavoratori, la “concentrazione nella mani di dinamici uomini d’affari delle grandi risorse cui lo stato in guerra può attingere sotto la forma delle imposte o dei prestiti” (37). Furono così le guerre e l’espansione imperiale (insieme con il simultaneo aumento del debito pubblico e privato) che crearono quella classe di rentier per la quale Marx, in un brano giustamente famoso, coniò il termine di “aristocrazia finanziaria”: “Si deve intendere qui per aristocrazia finanziaria non soltanto i grandi appaltatori di prestiti statali e gli speculatori sui valori dello Stato, il cui interesse si comprende agevolmente che coincida con gli interessi del potere dello Stato. Tutti gli affari finanziari moderni, tutta l’economia bancaria è connessa nel modo più intimo col credito pubblico. Una parte del loro capitale commerciale viene necessariamente investito in valori di Stato rapidamente convertibili. I loro depositi, il capitale posto a loro disposizione e da loro ripartito tra commercianti e industriali, proviene in parte di dividendi dei possessori di rendita dello Stato. Se per il mercato monetario nel suo complesso e per i sacerdoti di questo mercato la stabilità del potere dello Stato in ogni epoca ha fatto le veci di Mosè e dei profeti, come potrebbe essere diversamente oggi, in cui ogni diluvio minaccia di travolgere, insieme ai vecchi Stati, anche i vecchi debiti di Stato?” (38)” [James O’Connor, La crisi fiscale dello Stato, Torino, 1977] [(37) ‘Political Economy’, cit, p. 266; (38) Karl Marx, Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte’, Roma, 1974, pp. 177-78]