“(…) [Fu] lo stesso Marx a dire che non esiste un valore delle idee in sé, senza relazione con i loro effetti storici. «La verità, cioè la realtà e la forza del pensiero, deve essere dimostrata in pratica. La disputa sulla realtà o non-realtà d’un pensiero che è fuori della pratica è una questione puramente scolastica» (‘Undici tesi su Feuerbach’). Dunque non sarà irrilevante il giudizio sulle impreviste circostanze di tempo e di luogo in cui tali idee apparvero applicabili a torto o a ragione. Studiando la lingua russa, nel 1852, Engels scrisse a Marx: «Almeno uno di noi conosca… le lingue, la storia, la letteratura, i particolari delle istituzioni sociali di quelle nazioni con le quali, per l’appunto, ci troveremo ben presto in conflitto. La verità è che Bakunin non può non essere qualcuno per il semplice fatto che nessuno sa niente della Russia. E’ il vecchio artificio dei panslavisti, che parlano di trasformare l’antico Comune slavo in una forma di comunismo e sostengono che i contadini russi sono comunisti nati, verrà comodamente liquidato». Quando ‘Dal Kapital’ fu tradotto a Pietroburgo, Karl Marx, meravigliato, giudicò «un’ironia della sorte» che proprio i Russi fossero suoi clienti, mentre l’Inghilterra – il prototipo di società industriale – non si curava di lui. Più tardi, nel 1881, la giovane marxista russa Vera Zasulic gli domandò a nome dei compagni se egli credesse che la Russia agraria avrebbe avuto una rivoluzione socialista solo passando per il capitalismo industriale. La risposta di Marx fu cauta, ma le varie minute abbozzate per scrivere quella lettera dimostrano che tale era il pensiero di Marx (80)” [Alberto Ronchey, Prospettive del pensiero politico contemporaneo’, Utet, Torino, 1970] [(80) E. Wilson, ‘Biografia di un’idea’, pp. 354-356].