“La comprensione che il ‘Capitale’ ha trovato rapidamente in vaste sfere della classe operaia tedesca è la miglior ricompensa del mio lavoro. Un uomo che economicamente rappresenta il punto di vista borghese, il signor Mayer, fabbricante viennese, ha giustamente mostrato in un opuscolo uscito durante la guerra franco-tedesca che il grande senso teorico che veniva considerato patrimonio ereditario tedesco, è stato completamente smarrito dalle cosiddette classi colte della Germania, e invece torna a rivivere nella sua classe operaia. Fino ad ora l’economia politica è rimasta in Germania una scienza straniera. Gustav von Gülich in ‘Esposizione storica del commercio, delle arti e mestieri, ecc.’, e particolarmente nei due primi volumi dell’opera, editi nel 1830, ha già esaminato in gran parte le circostanze storiche che hanno impedito da noi lo sviluppo del modo di produzione capitalistico, e quindi anche l’edificazione della moderna società borghese. Mancava dunque l’humus dell’economia politica. E questa venne importata come merce finita dall’Inghilterra e dalla Francia; i professori tedeschi di economia politica rimasero scolari. (…) Lo sviluppo storico peculiare della società tedesca escludeva quindi in Germania ogni continuazione originale dell’economia “borghese”, ma non escludeva la critica. Se e in quanto tale critica rappresenta una classe, può rappresentare solo la classe la cui funzione storica è il rovesciamento del modo capitalistico di produzione, e, a conclusione, l’abolizione delle classi: cioè il proletariato. I dotti e gli indotti corifei della borghesia tedesca hanno cercato dapprima di uccidere il ‘Capitale’ col silenzio, com’erano riusciti a fare coi miei scritti precedenti. Appena questa tattica cessò di corrispondere alle condizioni del momento, essi si misero a scrivere, col pretesto di criticare il mio libro, istruzioni “Per la quiete della coscienza borghese”, ma trovarono nella stampa operaia campioni più forti di loro, ai quali fino ad ora non sono riusciti a rispondere: vedansi, per esempio, i saggi di Joseph Dietzgen nel ‘Volksstaat’ (1)” [Marx, Poscritto alla seconda edizione, Londra, 24 gennaio 1873] [(in) ‘Prefazioni’ opera Karl Marx, ‘Il Capitale. Critica dell’economia politica. Libro primo. Il processo di produzione del capitale’, Roma, 1970, a cura di Delio Cantimori] [(1) “I vociferatori sbrodoloni dell’economia volgare tedesca mi sgridano per lo stile e l’esposizione del mio lavoro. Nessuno giudicherà più severamente di me le manchevolezze letterarie del ‘Capitale’. Tuttavia, a maggior vantaggio e letizia di quei signori e del loro pubblico, voglio citare qui un giudizio inglese e uno russo. La ‘Saturday Review’ che è assolutamente ostile alle mie opinioni, disse annunciando la prima edizione tedesca: l’esposizione “conferisce un certo fascino particolare anche alle questioni economiche più aride”. La S.-P. Viedomosti (Gazzetta di Pietroburgo) osserva fra l’altro nel suo numero del 20 aprile 1872: “L’esposizione, eccezion fatta di poche parti troppo speciali, si distingue per comprensibilità generale, chiarezza e straordinaria vivacità, nonostante l’elevatezza scientifica dell’argomento. Da questo punto di vista l’autore non assomiglia…neppur da lontano alla maggioranza dei dotti tedeschi i quali… scrivono i loro libri in una lingua così ottenebrata e arida da farne scoppiare la testa ai comuni mortali”. Però ai lettori della letteratura professionale germano-nazional-liberale contemporanea scoppia qualcosa di ben diverso che la testa”]