“Alcuni hanno supposto, a torto io penso, che la caratterizzazione del profitto come plusvalore derivi in certo qual modo dalla teoria del valore-lavoro; per costoro i due concetti starebbero in relazione tra loro come la premessa e la conclusione di un sillogismo. Per questo le due teorie sono talvolta considerate come le eredi delle concezioni lockiane del diritto naturale: il diritto naturale di possedere il prodotto del proprio lavoro. Questa è, io credo, un’interpretazione non corretta. Era piuttosto il caso (come lo stesso Marx ha spiegato in ‘Salario, prezzo e profitto’) di riconciliare il fenomeno del plusvalore con la nozione classica secondo cui in regime di libera concorrenza e scambio tutte le merci si scambiano ai loro valori: una riconciliazione che Marx conseguì col distinguere la forza-lavoro dal lavoro e considerando la prima una merce avente essa stessa un valore, dipendente dal valore di ciò che era necessario per la sua reintegrazione, o per la sussistenza. Se vi era una premessa dalla quale la nozione di plusvalore si poteva derivare come conseguenza, questa era la definizione di “produttore” e “produttivo” in termini di lavoro umano” [Maurice Dobb, Introduzione] [(in) Karl Marx, ‘Il Capitale. Critica dell’economia politica. Libro primo. Il processo di produzione del capitale’, Roma, 1970, a cura di Delio Cantimori]