“Uno dei più interessanti (ed importanti) risvolti della storia dell’alimentazione sta nella connessione (mediata, naturalmente) con la problematica relativa al valore, ed alla remunerazione della forza lavoro (*). Il valore della forza-lavoro verrebbe dunque ad essere in sostanza formato dalla somma di due distinte componenti. La prima ‘fisiologica’ necessaria: cibo – quantificabile e quantitativamente assunto – più un ‘tot’ di vestiario, abitazione, ecc., per estensione posto come naturalmente determinabile, ma – in tale dimensione – individuabile solo quanto alla qualità (cotone invece di lana, capanna di un dato materiale invece che di un altro). La seconda ‘storico-sociale’, storicamente determinata e data ma non assolutamente necessaria, in realtà ‘superflua’ essendo posto per definizione il primo addendo come necessario. Anche Marx sarebbe, per alcuni, su questa linea e si limiterebbe semplicemente – in una condizione storica «superiore» (ciò che limiterebbe ancor più la sua originalità) – a sottolineare con maggior forza l’elemento storico-sociale. Questo ulteriore (fra i tanti) tentativo di riduzione della critica dell’economia politica ad economia politica si basa sul concetto di «ultimo limite, o ‘limite minimo’ del valore della forza-lavoro (…) costituito dal valore di una massa di merci senza la fornitura delle quali il detentore della forza-lavoro, l’uomo, non può rinnovare il suo processo vitale; dunque dal ‘valore dei mezzi di sussistenza fisiologicamente indispensabili (23)». Già fermandosi a questo non c’è materia per attribuire a Marx l’idea di un minimo salariale naturale che non sia la riaffermazione, sempre presente in lui anche se quasi sempre assente negli esegeti, e della materialità dell’uomo e del fatto che il movimento della storia si svolge comunque entro l’ambito del ricambio organico uomo-natura. Si legga con attenzione: perché Marx definisce qui il detentore di forza-lavoro come ‘uomo’ e non come proletario? Da questo punto di vista la notazione di Marx, anche se fatta a proposito della forza-lavoro (i cui detentori sono quelli che di fatto possono attingere con maggiore probabilità l’ultimo limite), non è che l’affermazione (banale) della condizione – generale ed astorica fin quando dura l’umanità – necessaria d’esistenza dell’uomo. Ma tale «banalità» non è posta a caso, o per mere ragioni di fatto, in relazione al valore della forza-lavoro” (pag 427-431) [Roberto Finzi, ‘Il necessario ed il superfluo. Note su storia dell’alimentazione e storicità dei bisogni’, ‘Studi storici’, Roma, n. 2, aprile-giugno 1975] [(23) K. Marx, Il capitale, Roma, 1956, 1. I, t, 1, p. 190] [(*) qui di seguito l’autore cita gli autori Turgot, Ricardo, Sraffa, Dobb, Petty, Cantillon, Meek, Rousseau, Adam Smith, ecc.]
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- Articolo pubblicato:26 Marzo 2021