“Rispondendo alle critiche mossegli dal “luxemburghiano” Sternberg, Grossmann aveva poi, sul terreno dello spinoso “problema della trasformazione dei valori in prezzi” (114), operato una serie di importanti precisazioni intorno al senso da attribuire alla sua critica dell”Accumulazione del capitale’ e al “modello” teorico elaborato  nella sua opera sul crollo, che già aveva suscitato vivaci polemiche. Prendendo le mosse dalla “hegeliana” nozione di scienza di Marx come conoscenza dell'”essenza nascosta” e dei “nessi interni” dei fenomeni empirici, aveva costruito uno “schema astratto” (rigorosamente fondato sulla teoria del valore) di funzionamento del processo di accumulazione che conduceva necessariamente al crollo del sistema, in conseguenza della caduta del saggio del profitto determinata dall’aumento della composizione organica del capitale. Ma il carattere necessitante della tendenza alla “crisi mortale” all’interno dello schema di valore non era ricondotto a un accidente esterno (come nelle teorie esogene della crisi) bensì alla struttura dicotomica della stessa “forma cellulare” (‘Zellenform’) del sistema: la merce, da cui derivava la dimidiazione del lavoro in lavoro astratto, produttore di valori di scambio, e lavoro concreto, produttore di valori d’uso (che Grossmann poneva a base del carattere “bidimensionale” della critica dell’economia politica) (115). Dall’insieme di queste premesse teorico-metodologiche conseguiva la “necessaria connessione interna” di teoria dell’accumulazione, teoria del valore e teoria del crollo. Grossmann aveva dunque inteso, marxianamente, rintracciare nella purezza di un processo produttivo (e riproduttivo) capitalistico senza “attriti” esterni la “possibilità generale” della crisi. La “‘forma più astratta della crisi’ (e quindi la possibilità formale della crisi)”, aveva infatti scritto Marx, “è la stessa ‘metamorfosi della merce'”; in essa è contenuta, “solo come movimento sviluppato, la contraddizione, inclusa nell’unità della merce, fra valore di scambio e valore d’uso, e poi fra denaro e merce” (116). Ma le relazioni stabilite al livello del “capitale complessivo” – astrazione indispensabile alla comprensione e all’esposizione scientifica del materiale empirico -, all’interno del quale il “‘rapporto diretto’ fra le diverse componenti del capitale e il lavoro vivo non è connesso con i fenomeni del processo di circolazione, non scaturisce da esso, ma dal ‘processo di produzione immediato’, ed il rapporto tra capitale ‘costante’ e ‘variabile, la cui differenza è fondata solo sul loro rapporto col lavoro vivo” (117), definiscono soltanto la possibilità generale, astratta, della crisi, “senza un contenuto, senza un movente significativo della medesima”. La ‘potentia’ della crisi, “la ‘metamorfosi’ formale del capitale stesso, la separazione temporale e spaziale di compra e vendita”, non era dunque altro che “la ‘forma più generale’ della ‘crisi’, quindi la crisi stessa nella sua ‘espressione più generale” e non la “causa della crisi” (118). La ‘forma’ della crisi non conteneva, secondo Marx, la via attraverso la quale questa ‘potentia’ della crisi diventa ‘realtà’, poiché, risultando le crisi da “‘variazioni di prezzo’ e da ‘rivoluzioni di prezzo'” non coincidenti con le “‘variazioni di valore’ delle merci”, esse non potevano naturalmente essere spiegate “nell’esame del capitale ‘in generale’, in cui presuppongono prezzi ‘identici’ ai ‘valori’ delle merci” (119). Soltanto le “‘condizioni generali’ della crisi” dovevano quindi, in quanto indipendenti dalle oscillazioni dei prezzi e del mercato, venir spiegate sulla base delle “condizioni generali della produzione capitalistica” (120)” [Gabriella M. Bonacchi,  ‘Teoria marxista e crisi: i “comunisti dei consigli”  tra New Deal e fascismo’] [(in) Aa.Vv., Teoria e prassi della organizzazione consiliare. Da Weimar al New Deal, Milano, 1976] [(114) Cfr. F. Sternberg, ‘Eine Umwälzung der Wissenschaft? Kritik des Buches von Henryk Grossmann “Das Akkumulations- und Zusammenbruchsgesetz des kapitalischen Systems”. Zugleich eine positive Analyse des Imperialismus’, Berlin, 1930, e la risposta di Grossmann (…); (115) Si veda in proposito H. Grossmann, ‘Marx, die klassische Nationalökonomie und das Problem der Dynamik’, Frankfurt am Main, 1969 (trad. it., Marx, l’economia politica classica e il problema della dinamica’, Bari, 1971; (116) K. Marx, ‘Theorien über den Mehrwerth, Mew 26/2, p. 510, trad. it. ‘Teorie sul plusvalore’, II, Roma, 1973, pp. 551-552; (117) Ivi, pp. 581-581 (trad. it. p. 625); (118) Ivi, p. 515 (557); (119) Ibidem (556); (120) Ivi, p. 516 (557)]