“Fonte di una controversia particolarmente serrata fu la sua [Engels] insistenza sulle nuove possibilità aperte dal suffragio universale e l’abbandono delle vecchie prospettive insurrezionali: entrambi questi principi furono esplicitamente formulati in uno dei suoi ultimi scritti, l'”aggiornamento” delle ‘Lotte di classe in Francia’ di Marx (1895). Proprio l’associazione di queste due indicazioni fu oggetto di discussione: il giudizio per cui in Germania “la borghesia e il governo” erano giunti a “temere molto più l’azione legale che l’azione illegale del movimento operaio, più le vittorie elettorali che quelle della ribellione” (9). Di fatto, però, nonostante una certa ambiguità dei suoi ultimi scritti, non è certo possibile leggerli come un’approvazione o un’implicazione delle successive illusioni legalistiche ed elettoralistiche dei socialdemocratici in Germania e altrove. (….) In effetti la sua tesi del 1895 si limitava in pratica a cercare di dimostrare che, allo stato attuale delle cose, i partiti come la socialdemocrazia tedesca avevano tutto da guadagnare dall’utilizzazione delle loro possibilità legali. Il confronto violento e armato era dunque più probabile che venisse aperto non dagli insorti, ma dalla destra contro i socialisti. In ciò Engels riprendeva una tesi già abbozzata da Marx negli anni ’70 (12), a proposito dei paesi in cui non esisteva alcun ostacolo costituzionale all’elezione di un governo socialista nazionale. In quei casi, a suo parere, la lotta rivoluzionaria avrebbe assunto la forma (come era accaduto durante la rivoluzione francese e la guerra civile americana) di una lotta tra governo “legittimo” e controrivoluzionari “ribelli”. Non vi è ragione per supporre che Engels si sia mai trovato in disaccordo con l’idea formulata allora da Marx, secondo cui “nessun grande movimento è nato senza spargimento di sangue” (13). E’ evidente che Engels pensava non già di avere abbandonato la rivoluzione, ma semplicemente di averne adattate la strategia e la tattica alla diversa situazione, così come lui e Marx avevano fatto per tutta la vita. La sua analisi fu messa in discussione dalla scoperta che lo sviluppo dei partiti socialdemocratici di massa non portava a un confronto, ma a una forma di integrazione del movimento nel sistema esistente. Se dobbiamo muovergli una critica, è per aver sottovalutato questa possibilità. Engels, tuttavia, si rendeva lucidamente conto dei pericoli dell’opportunismo – “il sacrificio del futuro movimento a vantaggio del presente” (14) – e fece del suo meglio per salvare i partiti da questa tentazione, raccogliendo, e in larga misura anzi sistematizzando, le principali dottrine ed esperienze di quello che ormai veniva già definito “marxismo”, insistendo sulla necessità di una “scienza socialista” (15), ribadendo la base essenzialmente proletaria dell’avanzata socialista (16), e soprattutto stabilendo i limiti oltre i quali non erano accettabili le alleanza politiche, i compromessi e le concessioni programmatiche finalizzate alla conquista di un sostegno elettorale (17). Nei fatti però – diversamente da quanto Engels avrebbe voluto – ciò contribuì, soprattutto nel partito tedesco, ad allargare il divario tra teoria e dottrina da un lato e concreta pratica politica dall’altro. La tragedia degli ultimi anni di Engels, come ci è oggi possibile constatare, fu che i suoi commenti – lucidi, realistici e spesso straordinariamente perspicaci sulla situazione concreta dei movimenti – non servirono come indicazione pratica, ma andarono a consolidare una dottrina generale che dalla pratica era sempre più distaccata. La sua previsione si rivelò fin troppo esatta: “Quale potrà essere la conseguenza di tutto questo, se non che improvvisamente, al momento della decisione, il partito non saprà che cosa fare? Le questioni decisive sono poco chiare e incerte perché non sono state mai discusse” (18)” [Eric J. Hobsbawm, ‘Gli aspetti politici della transizione dal capitalismo al socialismo’ (in) ‘Storia del marxismo’, 1978] [(9) Engels, Introduzione (1895) a ‘Le lotte di classe in Francia, cit., p. 652; (10) Ibid., p. 654; (11) A.R. Fischer, 8 marzo 1895, in Opere cit., vol 50 pp. 457-60; Engels, Introduzione (1895) a ‘Le lotte di classe in Francia, cit., p. 655; a Laura Lafargue, in Mew, vol. 38, p. 545; (12) Discorso al Congresso dell’Aia, in Mew, vol. 18, p. 160; F. Engels, Prefazione all’edizione inglese del Capitale, cit., libro primo, pp. 27 sgg.; (13) Marx, ‘Konspect der Debatten über das Sozialistengesetz’, in ‘Briefe am Bebel, Liebknecht, Kautsky und andere’, Moskva-Leningrad 1933, vol. I, p. 516. Intervista con la “New York Herald Tribune”, 1878, in Mew, vol. 34, p. 515; (14) ‘Zur Kritik des Sozialdemokratischen Programmentwurfes 1891’, in Mew, vol. 22, pp. 227-40 e soprattutto pp. 234-35; (15) A Bebel nel 1891, in Mew, vol. 38, p. 94, a proposito delle obiezioni mosse dal partito contro la pubblicazione della ‘Critica del programma di Gotha’; (16) Cfr. la lettera a F. Turati, 26 gennaio 1894, in ‘La corrispondenza di Marx e Engels con italiani, 1848-1895’, a cura di G. Del Bo, Milano 1964, pp. 518.-21 (Mew, vol. 22, pp. 440-41): “Evidemment ce n’est pas à nous de préparer directement un mouvement qui n’est pas précisement celui de la classe que nous représentons”; (17) ‘La corrispondenza di Marx e Engels con italiani, cit. e ‘La questione contadina cit.; (18) ‘Zur Kritik des Socialdemokratischen Programmenwurfes 1891’, in Mew, vol. 22, p. 234]