“Solo il salto, il risultato, il diventare oggettivamente dominante avrebbe consentito al proletariato di far rimarginare le cicatrici, di tramutare la sua conquista, limitata anch’essa alla “negazione della negazione”, in affermazione finalmente piena e costruttiva. “…La proprietà privata nel suo movimento economico va essa stessa verso la propria dissoluzione, ma solo mediante uno sviluppo indipendente da essa, inconsapevole, che ha luogo contro la sua volontà ed è condizionato dalla natura della cosa, e solo perché essa produce il proletariato ‘come’ proletariato, la miseria consapevole della sua miseria intellettuale e fisica, la disumanizzazione consapevole di essere disumanizzazione e che perciò sopprime se stessa. Se il proletariato vince, esso non perciò diventa il termine assoluto della società; infatti esso vince solo superando se stesso ed il suo opposto. Allora scompare tanto il proletariato quanto l’antitesi che lo condiziona, e cioè la proprietà privata (1). [Qui] il proletariato dovrà lasciar cadere tutto ciò che gli è rimasto appiccicato dalla sua presente situazione sociale (2). La rivoluzione dunque è necessaria non soltanto perché la classe predominante non può venire rovesciata in nessun’altra maniera, ma perché soltanto con una rivoluzione la classe che è soggiogata può giungere a liberarsi di tutto il secolare fango in cui è immersa e a rendersi capace della nuova creazione della società (3)”. Dunque tutto è, apparentemente, giocato nel “salto”, nell’esito rivoluzionario e tutta la documentazione dei rapporti di Marx con il Partito comunista è una storia di intransigenza verso qualsiasi riformismo e qualsiasi gradualismo che raggiunge punte altamente drammatiche come nella ‘Critica al programma di Gotha’ e nella corrispondenza relativa con i dirigenti politici d’allora. Tuttavia, a veder bene, l’attacco di Marx ai programmi, il suo riferirsi alle cose, alla lotta strutturale ecc. non è che un opporsi ai piccoli programmi, alle piccole cose, alla piccola lotta, mantenendo ferma appunto la ‘grande programmaticità’ del ‘Manifesto’, la ‘grande tavola dei valori’ del ‘Capitale'” [Roberto Guiducci, Socialismo e verità. Pamphlets di politica e cultura, 1956] [(1) Marx Engels  ‘Sacra famiglia’, Roma, 1954, p. 40; (2) Marx Engels ‘Ideologia tedesca’, Milano, 1947, p. 128; (3) Ibid., p. 72]