“Come si è detto, la storia senza soluzione di continuità del comunismo in quanto movimento sociale moderno ha inizio con la corrente di sinistra della rivoluzione francese. Una diretta linea discendente congiunge alla cospirazione degli “uguali” di Babeuf, attraverso Filippo Buonarroti, le associazioni rivoluzionarie di Blanqui, degli anni ’30, e queste a loro volta sono legate, attraverso la Lega dei comunisti -, a Marx e a Engels, che per conto della Lega stesero il ‘Manifesto del Partito comunista’. E’ naturale quindi che la progettata “Biblioteca” di Engels del 1845 si dovesse aprire con due diramazioni della letteratura “socialista”: Babeuf e Buonarroti (seguiti da Morelly e da Mably), che rappresentavano l’ala apertamente comunista, seguiti dai critici di sinistra dell’eguaglianza formale della rivoluzione francese e dagli “arrabbiati” (il Cercle social, Hébert, Jacques Roux, Leclerc). Tuttavia l’interesse teorico di quello che Engels avrebbe definito “un comunismo ascetico che vi si collegava a Sparta” (1) non era molto grande. E nemmeno gli scrittori comunisti degli anni ’30 e ’40, in quanto teorici, sembrano avere favorevolmente impressionato Marx ed Engels. Anzi, Marx asserì che, proprio per la rozzezza e unilateralità dei suoi primi teorici, “non a caso il comunismo ha visto sorgere dinanzi a sé altre dottrine socialiste, come quelle di Fourier, Proudhon, ecc., ma necessariamente” (2). Pur avendone letti gli scritti – persino quelli di figure relativamente minori come Lahautière (1813-82) e Pillot (1809-77) – Marx doveva ben poco alla loro analisi sociale, che consisteva soprattutto nella formulazione della lotta di classe come lotta tra i “proletari” e i loro sfruttatori. Tuttavia il comunismo babouvista e neobabouvista fu importante per due motivi. In primo luogo, diversamente dalla maggior parte delle teorie socialiste utopistiche, era impegnato a fondo nell’attività politica e quindi non rappresentava soltanto una teoria rivoluzionaria, ma anche una dottrina, sia pur limitata, di prassi politica, di organizzazione, di strategia e di tattica. I suoi principali rappresentanti negli anni ’30 – Laponneraye (1808-49), Lahautière, Dézamy, Pillot e soprattutto Blanqui – erano attivi rivoluzionari. Questo, insieme con il loro nesso organico con la rivoluzione francese (che Marx studiò a fondo), li rendeva estremamente importanti per lo sviluppo del suo pensiero. In secondo luogo, anche se gli scrittori comunisti erano per lo più intellettuali marginali, il movimento comunista degli anni ’30 esercitò un’evidente attrattiva per i lavoratori. Se ciò venne fatto rilevare da Lorenz von Stein, non mancò di colpire anche Marx ed Engels, e questi, più tardi, ricordò il carattere proletario del movimento comunista degli anni ’40, distinguendolo da quello borghese di quasi tutto il socialismo utopistico (3). Per di più, da questo movimento francese – che adottò il nome di “comunista” intorno al 1840 – i comunisti tedeschi, compresi Marx e Engels, presero il nome della loro dottrina” [Eric J. Hobsbawm, Marx, Engels e il socialismo premarxiano, (in) ‘Storia del marxismo’, Volume primo, ‘Il marxismo ai tempi di Marx’, Torino, 1978] [(1) Opere, cit., vol. 25, p. 17; (2) Sull’opinione di Engels, cfr. ‘Progressi della riforma sociale sul continente’, in Opere, cit, vol. 3, p. 435 (…); per quelle di Marx (1845), ibid, p. 155; (3) Cfr. la prefazione di Engels al ‘Manifesto’ 1888, in Opere cit., vol. 6; pp. 666 sgg]
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- Articolo pubblicato:19 Gennaio 2015