“Negli anni eroici della rivoluzione, le tendenze centrifughe delle minoranze allogene (separatismo ucraino, ribellioni georgiane, ecc.) complicavano particolarmente il consolidamento del regime bolscevico. I grandi russi non s’erano sbarazzati da un giorno all’altro della vecchia abitudine imperialista. Ascoltiamo Lenin, alla fine del 1922: «Noi ci rendiamo quasi sempre colpevoli, lungo la nostra storia di un’infinità di violenze; non solo, ma commettiamo un’infinità di ingiustizie e prevaricazioni senza accorgercene (…). I polacchi, i tartari, gli ucraini, i georgiani e gli altri allogeni del Caucaso si sentono chiamare rispettivamente solo con soprannomi peggiorativi come: ‘poliatchichka’, ‘kniaz’, ‘khokhol’, ‘kavkazki’, ‘celovek’» (7) (bisogna essere russi per afferrare le sfumature di questo umorismo popolare, grossolano e bonaccione, ma che non si trova già più nell’infamante ‘jud’). Molti luogotenenti di Lenin si comportavano allora come russificatori abusivi. Ascoltiamolo ancora: ogni parola, ogni avvertimenti vale qui tanto oro quanto pesa: «Abbiamo preso con cura sufficiente misure per difendere effettivamente gli allogeni contro il tipico aguzzino russo? Io penso che non abbiamo preso queste misure, sebbene avessimo potuto e dovuto farlo. Penso che un ruolo fatale abbia qui avuto la fretta di Stalin e il suo amore per l’amministrazione. Temo anche che il compagno Dzerjinskij… si sia distinto in modo straordinario per il suo animo russo al 100% (si sa che gli allogeni russificati hanno tendenza a strafare)» (8). La realtà dell’antica «prigione delle nazioni» zarista, inasprita qua e là dalla natura d’aguzzini di certi Stalin in erba, fecero adottare al partito bolscevico la formula e la costituzione federale che resta quella dell’Unione Sovietica attuale (per Lenin che sperava nella rivoluzione mondiale, a breve scadenza, senza dubbio non si trattava che d’un espediente più o meno provvisorio; tanto più notevole appare quindi l’attenzione ch’egli dedicò al problema). Sotto la dittatura del proletariato ci fu un’epoca nel corso della quale il governo sovietico vegliava con assoluta serietà a rendere la stessa giustizia così agli ebrei come ai georgiani e ai baschiri e a questi come ai grandi russi, e questo periodo durò in pratica fino alle grandi purghe. «La maggioranza degli ebrei sono operai, lavoratori. Sono nostri fratelli, oppressi come noi dal capitale. Sono nostri compagni (…). Gli ebrei ricchi, come i russi ricchi, come i ricconi di ogni paese, uniti gli uni agli altri, opprimono, derubano gli operai e seminano la zizzania tra loro» (9)” (pag 20-21) [(7) Lenin, ‘Questions de la politique nationale et de l’internationalisme prolétarien’, Editions du Progrès, Moscou, 1968, p. 241; (8) Ibidem, p. 239; (9) Lenin, ‘Sulla persecuzione e i pogrom degli ebrei’ (proclama del 31 marzo 1919)] [Léon Poliakov, ‘Dall’antisionismo all’antisemitismo’, La Nuova Italia, Firenze, 1971] [Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM*]