“Nell’ambito del riformismo la maggior attenzione della storiografia si è riversata, come detto, sulla figura di Turati e sulla validità  della sua politica, che investe la validità stessa del riformismo. In merito all’azione politica di Turati dalla fondazione (e anche prima) del Psi alla guerra di Libia due sono i problemi fondamentali che gli storici hanno affrontato: 1. la questione della frattura o della continuità fra la linea politica intransigente di Turati nel primo periodo del Psi, fino al 1894 e alla famosa lettera di Engels sulla strategia politica, e la seguente linea più morbida, favorevole a una tattica di alleanze, con le conseguenze derivanti da quest’impostazione sia su tutta l’azione riformista nell’età giolittiana, sia sul giudizio da dare sull’operato di Turati; 2. la questione relativa al rapporto Turati-Giolitti e alla crisi del riformismo nel periodo 1909-11. Riguardo al primo problema, la tesi della frattura è sostenuta da Luigi Cortesi e da Lelio Basso. Per Cortesi è indubbio che dopo il 1894-95 vi fu da parte di Turati una “svolta” in senso negativo, con l’abbandono dell’intransigentismo e con il “lento distacco, o deriva, dei princìpi del socialismo marxista che doveva riempire di sé, come un lunghissimo tramonto, tutto il resto della sua vita”. E proprio a quegli anni bisogna risalire per cercare “una totale e vitale validità del Turati […] qualcosa che […] doveva resistere alla prova del tempo, alle tempeste della lotta di classe, alla critica interna del movimento socialista”. Partendo da questo presupposto Cortesi, pur riconoscendo l’efficacia dell’azione riformista all’interno del Psi nell’età giolittiana finirà col dare, soprattutto in occasione della prima guerra mondiale, un significato negativo al termine riformismo (L. Cortesi, ‘Turati giovane’, 1962 e altri lavori dello stesso autore, ndr). Anche per Basso nell’azione politica di Turati vi è una “svolta” negativa col passaggio dall’intransigentismo, di stampo tipicamente marxista ortodosso, al riformismo, ma questa “svolta” viene fatta risalire all’inizio dell’età giolittiana, ai primi del Novecento, mentre “il Turati (…) del periodo che precede e di quello che segue il congresso di Genova, merita nel complesso un giudizio profondamente positivo”, soprattutto per i “grandi servigi che (…) rese al movimento operaio in questi due primi periodi della sua attività socialista”. Il riformismo di Turati dell’età giolittiana, sia sul piano politico che su quello teorico, non può invece “rappresentare la via democratica al socialismo, perché è già cosa diversa da un’azione socialista” (L. Basso, ‘Turati, il riformismo e la via democratica’, ‘Problemi del socialismo’, febbraio 1958). Con la tesi di  Basso concorda anche Franco Livorsi il quale ritiene che nel periodo in questione Turati ebbe “un ruolo straordinario: e da un punto di vista socialista e da un punto di vista democratico” (F. Livorsi, ‘Filippo Turati tra correnti del socialismo e governi d’Italia’, cit.). Per il periodo fino alla guerra di Libia Livorsi considera Turati più un democratico-sociale che un socialista, reputandolo “grande”, ma solo come “supporto esterno di una politica di grande respiro democratico impersonata non da lui, ma da Giolitti”” [Ivano Granata, Il socialismo italiano nella storiografia del secondo dopoguerra, 1980]