“Il Labriola appariva propugnatore autorevole di una sua versione del “socialismo scientifico” ma ciò avveniva nell’ambito di una cultura politica italiana che tendeva, invece, a coniugare assai di più il “socialismo della cattedra” (“un tipo questo di socialismo” – è stato scritto – “inventato dai professori tedeschi nell’intento di risolvere la questione sociale attraverso un’economia riformistica direttamente guidata dallo Stato”) (B. Widmar, Nota introduttiva, in A. Labriola, In memoria del manifesto dei comunisti, 1960) con i principi del ‘liberalismo’, che non di inserire la concezione materialistica della storia nella lotta di classe. Labriola era contro tutto ciò e perseguiva con questa sua azione negativa due precisi obiettivi: anzitutto far conoscere e diffondere in Italia l’ancora malnoto pensiero politico-dottrinario di Marx e, poi, difendere, nonostante il suo giudizio molto acerbo nei confronti del partito socialista, l’importanza dell’organizzazione politica che a tale pensiero direttamente si collegava. Scriveva il filosofo napoletano nel 1899, discutendo il tema allora dibattutissimo della ‘crisi del marxismo’, che “a nessuno di cotesti egregi becchini del socialismo è venuto mai in mente di proporsi queste semplici e oneste domande: – la critica sorta in altri paesi intorno al marxismo può essa mai riguardare direttamente l’Italia? – ebbe mai, o ha, cotesta dottrina alcuna solida base e sicura diffusione nel nostro paese? – e, al postutto, il partito socialistico italiano ha tanta forza già, e tale estensione su le masse e tra le masse, ed ha in se stesso tale sviluppo e tale complessità di condizioni e di attinenze politiche, da rivelare quei caratteri precisi e spiccati di stabile e duratura organizzazione proletaria, data la quale il discutere a fondo della ‘dottrina’ gli è discuter di cose e non di parole?” (A. Labriola, Scritti filosofici e politici). Recisamente, il Labriola – rispondendo così alle tesi crociane e gentiliane sul ‘materialismo storico’ – affermava “che non ci può essere la crisi di ciò (…) che non esiste ancora” (Ibid.).” [Ettore A. Albertoni, Storia delle dottrine politiche in Italia. Volume secondo, 1990]