“«La grande idea fondamentale, che il mondo non deve essere concepito come un complesso di ‘cose’ compiute, ma come un complesso di ‘processi’, in cui le cose in apparenza stabili, non meno dei loro riflessi intellettuali nella nostra testa, i concetti, attraversano un ininterrotto processo di origine e di decadenza (…): questa grande idea fondamentale è entrata così largamente, specie dopo Hegel, nella coscienza comune, che in questa sua forma generale non trova quasi più contraddittori. Ma riconoscerla a parole, e applicarla concretamente nella realtà, in ogni campo che è oggetto di indagine, sono due cose diverse»” (F. Engels, ‘Ludwig Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca’, Editori Riuniti, Roma, 1969, pp. 58-59) [(in) G.S. Wheeler, ‘Contraddizioni del socialismo. Economia e democrazia in Cecoslovacchia’, Coines edizioni, Roma, 1976 (pag 11); “Questa resistenza al cambiamento si presenta come una difesa dello ‘statu quo’, e spesso mira a preservare determinate istituzioni ingiuste o determinate posizioni di privilegio. E per un considerevole periodo di tempo può anche non esservi alcuna speranza di scalfire tale resistenza. Però è chiaro – e la storia sta a dimostrarlo oggi più che mai – che in quest’epoca di rapidi progressi della scienza, a lungo andare la resistenza al cambiamento è il modo più sicuro per condannare un’istituzione o tutta una società allo sfacelo. È una cosa talmente lampante, questa, che non vale la pena di soffermarvisi oltre. Non è solo questione di quanto il singolo produttore viene a rimetterci se resta in ritardo sul piano tecnologico (tanto più che, come sottolineavano Marx ed Engels, questo processo innovativo sfugge per sua natura al controllo e al potere del singolo capitalista). Si tratta pure del fatto che, ai cambiamenti che intervengono nel modo di produzione debbono corrispondere adeguamenti anche nelle strutture e nelle politiche sociali. Il che, almeno in parte, sfugge del pari al controllo dell’individuo; ed è questa la ragione di fondo per cui il capitalismo deve cedere il passo a forme più elevate di organizzazione sociale. Le forze produttive delle società più avanzate si sviluppano oggi a un tasso di cambiamento ‘almeno’ altrettanto alto di quello avutosi all’epoca della rivoluzione industriale. È in questa luce che dobbiamo considerare la dialettica del cambiamento. Discutendo di dialettica, Lenin citava questo passo di Engels: «Per questa filosofia (la filosofia dialettica) non vi è nulla di definitivo, di assoluto, di sacro; di tutte le cose e in tutte le cose essa mostra la caducità, e null’altro esiste per essa all’infuori del processo ininterrotto del divenire e del perire, dell’ascensione senza fine dal più basso al più alto» (1). Questa è la prospettiva scientifica marxista. Come Marx ed Engels hanno messo in rilievo, una società capitalista dispone soltanto di mezzi limitati e, in definitiva, inadeguati per opporsi al cambiamento” (pag 14-15) [G.S. Wheeler, ‘Contraddizioni del socialismo. Economia e democrazia in Cecoslovacchia’, Coines edizioni, Roma, 1976] [(1) F. Engels, ‘Ludwig Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca’, Editori Riuniti, Roma, 1969, p. 21; Lenin cita il passo nel suo breve saggio su Marx (V.I. Lenin, ‘Karl Marx’, Editori Riuniti, Roma, 1970, pp. 19-20; Opere complete, E.R., Roma, vol. 21, p. 46)]
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- Articolo pubblicato:7 Ottobre 2025
