“In questo senso la Rivoluzione francese, che può essere definita una classica rivoluzione politica (34), è un esempio illuminante: “Se (…) il proletariato rovescia il dominio politico della borghesia, la sua vittoria sarà solo temporanea, solo un momento al servizio della ‘rivoluzione borghese’, come nel 1794, finché nel corso della storia, il suo ‘movimento’, non sono ancora create le condizioni materiali che rendono necessaria la soppressione del modo di produzione e quindi anche il rovesciamento definitivo del dominio politico borghese” (35). Tuttavia questa stessa rivoluzione ha dimostrato l’insufficienza di questa oggettività e dunque la necessità dell’azione politica del giacobinismo per accelerare i tempi storici della maturazione economico-sociale: “In Francia il regime del Terrore doveva soltanto servire, con i suoi possenti colpi di maglio, a far sparire come per incanto dal suolo francese le rovine feudali. La borghesia, timida e riguardosa, non sarebbe venuta a capo per decenni di questo lavoro” (36). Ne deriva pertanto che ‘”Tutto il terrorismo francese’ non [è stato] altro che un ‘modo plebeo’ di finirla con i ‘nemici della borghesia’, con l’assolutismo, il feudalismo e il mondo piccolo-borghese” (37). Non c’è in Marx, mai, ‘una critica etica della dittatura giacobina in quanto dittatura, in quanto forma autoritaria’, ma una critica storica dell’anticipazione politica rispetto all’effettiva situazione economica. Ciò che viene respinto è l’approccio idealistico, la sua incapacità di comprendere la sfasatura drammatica fra i tempi rivoluzionari dettati dall’istanza politica e i reali tempi storici imposti dalla situazione sociale. È da questa non corrispondenza tra la volontà soggettiva e la situazione oggettiva che deriva il terrorismo politico del potere dittatoriale. Esso scaturisce dalla necessità di stabilire l’armonia fra gli intenti degli uomini e le condizioni della storia; nasce come tentativo di superare questa sfasatura per cui, inevitabilmente, finisce col coartare la vita civile, col piegarla alle esigenze astratte dell’idealismo politico, sganciandosi dalla realtà. “Nei momenti in cui prevale il suo sentimento di sé, la vita politica cerca di soffocare il suo presupposto, la società civile e i suoi elementi, e di costituirsi come la reale e non contraddittoria vita dell’uomo come genere. Essa può questo, solo attraverso una ‘violenta’ contraddizione con le sue proprie condizioni di vita, solo dichiarando ‘permanente’ la rivoluzione, e il dramma politico finisce perciò altrettanto necessariamente con la restaurazione della religione, della proprietà privata, di tutti gli elementi della società civile, così come la guerra finisce con la pace” (38). Di qui il possibile esito imperiale della dittatura, come la Rivoluzione francese, ancora una volta, dimostra: “‘Napoleone’ è stato l’ultima lotta del ‘terrorismo rivoluzionario’ contro la ‘società civile’ (…). Egli ha ‘perfezionato’ il ‘terrorismo’ mettendo al posto della ‘rivoluzione permanente’ la ‘guerra permanente’ (39). L’idealismo giacobino è stato dunque un ‘puro’ idealismo e il suo progetto di instaurare la libertà pubblica quale superamento della prosaica libertà individuale, quindi quale regno democratico della virtù, si è infranto contro il materialismo della vita civile” (pag 346-347) [Giampietro BERTI, ‘Marxismo e anarchismo di fronte alla Rivoluzione francese. Marx, Stirner, Proudhon, Bakunin’ (pag 341-372) (capitolo III. ‘La rivoluzione e la nascita di un ‘mito”, in Bruna Consarelli, a cura, ‘1789. La rivoluzione e i suoi ‘miti”, Editrice Flaminia, Pesaro, 1993] [(34) “Il periodo classico” dell’intelletto politico è la ‘rivoluzione francese’. La Convenzione fu il ‘massimo’ dell’ ‘energia politica’, della ‘forza politica’ e dell’ ‘intelletto politico’ (K. Marx, ‘Glosse critiche’ in margine all’articolo “Il re di Prussia e la riforma sociale. Di un prussiano”. ‘Vorwarts’, 7 agosto 1844, in K. Marx F. Engels, Opere, III, 1843-1844′, cit. p. 214); (35) Id., ‘La critica moraleggiante e la morale criticante’, ‘Deutsche Brusseler-Zeitung’, 28 ottobre 1874, in Marx Engels, Opere, VI, ottobre 1845 – marzo 1848, cit., p. 338: “Quanto più evoluto e generale è l’intelletto ‘politico’ di un popolo, tanto più il ‘proletariato’ – almeno all’inizio del movimento, consuma le sue forze in insensate, inutili sommosse soffocate nel sangue. Poiché esso pensa nella forma della politica, scorge il fondamento di tutti i mali nella ‘volontà’ e tutti i mezzi per rimediarvi nella ‘violenza’ e nel ‘rovesciamento’ di una ‘determinata’ forma di Stato” (Id. ‘Glosse critiche’…, cit., p. 217; (36) Id., ‘La critica moraleggiante’… cit., p. 338; (37) Marx Engels, ‘La borghesia e la controrivoluzione’, cit., p. 158; (38) K. Marx, ‘Sulla questione ebraica’, cit., pp. 168-169; (39) K. Marx, F. Engels, ‘La sacra famiglia’, cit., p. 137]