“Ora, prosegue Marx, in forza di questo rovesciamento “la creazione della ricchezza reale viene a dipendere meno dal tempo di lavoro e dalla quantità di lavoro impiegato che dalla potenza degli agenti che vengono messi in moto durante il tempo di lavoro, e che, a sua volta – questa loro ‘powerful effectiveness’ – non è minimamente in rapporto al tempo di lavoro immediato che costa la loro produzione, ma dipende invece dalla stato generale della scienza e dal progresso della tecnologia, o dall’applicazione di questa scienza alla produzione”. A questo punto l’argomentazione di Marx è che, dal momento che non esiste altro modo di determinare il valore di scambio se non mediante il tempo di lavoro, il capitale, che è produzione di valore, è costretto a mantenere questa determininazione a dispetto della decadenza del lavoro da elemento creatore dei prodotti. In altri termini, il capitalismo, giunto alla piena realizzazione di sé stesso, deve trattare i prodotti per ciò che essi ‘non’ sono. Siamo cioè per Marx in presenza di una contraddizione, i cui termini possono essere così esposti: da un lato, il capitale, in quanto realizzazione piena del valore di scambio, riconduce al tempo di lavoro la determinazione della ricchezza; dall’altro lato, il tempo di lavoro, con le macchine, non regola più la produzione della ricchezza, poiché questa dipende ora essenzialmente dalla scienza e dall’organizzazione. Questa contraddizione si risolve con la caduta della produzione capitalistica: “Con ciò la produzione basata sul valore di scambio crolla”. Se facciamo riferimento all’elaborazione più matura del ‘Capitale’, la tesi in questione potrebbe essere messa in questi termini. Il lavoro produttore di merci è duplice: esso è, a un tempo, lavoro concreto e lavoro astratto. In quanto lavoro astratto, esso produce valori (di scambio); e come il valore di scambio ha il suo supporto materiale necessario nel valore d’uso, così il lavoro concreto è il necessario luogo di manifestazione del lavoro astratto. Ossia, alla merce in quanto valore di scambio è legato il lavoro astratto quantitativamente determinato in quanto alla merce valore d’uso è legato il lavoro concreto qualitativamente determinato. Ma se si rompe il legame tra il valore d’uso e il lavoro concreto, perché il valore d’uso viene a dipendere da ‘altro’, allora lo stesso lavoro astratto cessa di essere rilevante, e il valore di scambio viene privato della sua base necessaria. Il valore di scambio non può più essere determinato, e la produzione fondata sul valore di scambio crolla. Ripetiamo: ci sembra, questo dei ‘Grundrisse’, l’unico testo di Marx in cui si ponga un nesso così stretto tra l’idea del “crollo” e la teoria del valore. L’argomentazione è ben più stringente di quella relativa al “crollo” legato alla caduta tendenziale del saggio del profitto. E si tratterebbe qui di una teoria del crollo incontrovertibile, ‘se’ la teoria del valore-lavoro fosse vera (se fosse vero, cioè, ciò che è invece falso, ossia che le quantità di lavoro contenute nelle merci siano ‘necessarie’ per determinare i prezzi di produzione). ‘Se’ tale teoria fosse vera, resterebbe dimostrata l’esistenza, all’interno del modo capitalistico di produzione, di una tendenza al crollo per ragioni economiche, cioè per ragioni connesse con le “metamorfosi” che il lavoro subisce nell’ambito del processo produttivo man mano che quel modo di produzione si adegua storicamente ai propri princípi” [Claudio Napoleoni, Discorso sull’economia politica, 1985]