“Il 16 febbraio 1881 Vera Zasulic espresse con chiarezza a Marx la questione che preoccupava i populisti: era necessario passare per tutte le tappe dell’evoluzione sociale attraversate dai paesi avanzati? Scrisse la rivoluzionaria (7): «Negli ultimi tempi sentiamo spesso dire che la comune rurale è una forma arcaica che la storia, il socialismo scientifico, in breve tutto ciò che c’è di più indiscutibile condanna a perire. Coloro che sostengono ciò si dichiarano vostri discepoli per eccellenza: “marxisti”». La risposta di Marx ha posto degli interrogativi agli storici. David Rjazanov (1870-1938) la trovò nel 1911 tra diversi frammenti conservati da Paul Lafargue, i quali rappresentano diversi tentativi di elaborazione da parte di Marx. La lettera, nella sua versione definitiva, è datata 8 marzo 1881 e alla certezza che fosse proprio questa la versione inviata a Vera Zasulic si giunse solo nel 1923. Interrogati infatti, tra il 1911 e il 1923, i protagonisti della vicenda non ricordavano la risposta di Marx: essa tuttavia emerse dall’archivio di Axelrod nella data indicata e fu pubblicata da Rjazanov nel 1926 (8). Sulla vicenda, Rubel si interrogò: dimenticanza o congiura del silenzio? In prima battuta, ricondusse a un motivo psicologico il silenzio sulla risposta: essa nulla aggiungeva alla teoria generale esposta nel ‘Capitale’. A suffragare l’ipotesi portò il fatto che la stessa Zasulic due anni più tardi, nel 1883, propose un punto di vista «marxista», giudicando preliminare a qualsiasi speranza di emancipazione sociale la rivoluzione in Occidente e aggiungendo che l’ ‘obscina’ era destinata a scomparire (9). Rubel, tuttavia, avanzò una seconda ipotesi, quale sviluppo della prima e non alternativa: l’oblio di questa lettera sarebbe stata una conseguenza «psicologicamente» necessaria dell’adesione di Zasulic, Plekhanov e Axelrod a un marxismo interpretato quale concezione «historico-philosophique passe-partout» (10). Essa poteva far a meno della complessità, che emerge solo tra le righe nella risposta ma esplicitamente nei frammenti analizzati da Rubel (11). Egli vi rintracciò «una teoria sociologica dello sviluppo storico della Russia» (12), fondata sul rifiuto di estendere la fatalità storica del processo di separazione del produttore dai mezzi di produzione, che in Inghilterra era cominciato con l’espropriazione dei contadini, anche nei paesi non occidentali (13). Marx, insomma, non voleva che il suo ‘esquisse’ sulla genesi storica del capitalismo fosse considerato uno schema applicabile a ogni paese e a ogni popolo, anche a prescindere dalla circostanze storiche specifiche. La Russia dell’ ‘obscina’ non aveva attraversato la fase intermedia tra la proprietà collettiva e quella privata capitalistica, pertanto la legge che presiedeva allo sviluppo del capitalismo in Occidente non poteva essere meccanicamente estesa (14). Le possibilità che infatti si offrivano alla comune contadina erano almeno due. O la rivoluzione in Occidente risultava vincente entro tempi brevi, permettendole così di sopravvivere e di costituire la base di un’organizzazione comunista della società; oppure, senza un sovvertimento a Ovest, la Russia si sarebbe incamminata rapidamente verso lo sviluppo capitalistico, che avrebbe comportato la sua disgregazione e il conseguente assoggettamento del paese alla «legge economica del movimento della società moderna» (15). Secondo Rubel, l’insegnamento di Marx non escludeva, dunque, che la rivoluzione potesse scoppiare a Est. Nella prefazione alla seconda edizione russa del ‘Manifesto’, datata 21 gennaio 1882, Marx ed Engels dichiararono, infatti, che «Se la rivoluzione russa servirà di segnale a una rivoluzione operaia in occidente, in modo che entrambe si completino, allora l’odierna proprietà comune russa potrà servire di punto di partenza per un’evoluzione comunista» (16)” (pag 41-43) [[Gianfranco Ragona, ‘Maximilien Rubel (1905-1996). Etica, marxologia e critica del marxismo’, Franco Angeli, Milano, 2003] [(7) Cfr. la versione della lettera edita nell’originale francese da Riazanov in ‘Marx-Engels Archiv’, I, 1926, ristampa anastatica Frankfurt a M., Sauer-Auvermann, 1969, pp. 316-318. Rubel la pubblicò in K. Marx ‘Oeuvres, Economie, II, Paris, Gallimard, Bibliotheque de la Pléiade’, 1968, pp. 1556-1557; (8) Cfr. M. Rubel, ‘Karl Marx et le socialisme populiste russe’, cit., pp. 547-549. La lettera di Marx fu pubblicata da D. Rjazanov, ‘Marx-Engels Archiv’, I, cit., pp. 319-342. La traduzione italiana della risposta di Marx e dei frammenti preparatori è in Karl Marx, Friedrich Engels, ‘India Cina Russia’, a cura di Bruno Maffi, Milano, Il Saggiatore, 1960; pp. 236-244; Il curatore (e traduttore) ricostruisce la vicenda a p. 296, nota 49; (9) Nel 1883, insieme a Plechanov, essa fondò la prima organizzazione marxista russa, «Emancipazione del lavoro» (…): non più il contadino ma l’operaio urbano sarebbe stato considerato da lì in poi il soggetto rivoluzionario per antonomasia. Su Plechanov, cfr. Pedrag Vranicki, ‘Storia del marxismo’ (197) 3 voll, Roma, Editori Riuniti , 1979, vol. 1, pp. 387-401; Israel Getzler ‘Georgij V. Plechanov: la dannazione dell’ortodossia’, in ‘Storia del marxismo’, vol. 2, cit., pp. 411-440; (10) M. Rubel, ‘Kal Marx et le socialisme populiste russe’, cit., p 559; (11) Parafrasando S. Kierkegaard, Rubel affermava che la storia abbonda di esempi in cui l’apparizione «di una grande personalità e di un pensiero di grande respiro fa nascere (…) l’ammirazione, atteggiamento di comodo, che si pone agli antipodi dell’imitazione, esigenza etica» (M. Rubel, ‘Karl Marx et le socialisme populiste russe’, cit., p. 559); (12) Ivi. p. 549; (13) Ibidem, Cfr., inoltre K. Marx, ‘Il Capitale’, cit., pp. 883 sgg; (14) Cfr. K. Marx, op. cit., pp. 934-938 (si tratta del celebre paragrafo ‘Tendenza storica dell’accumulazione capitalistica’, sez. VII, cap. XXIV, par. 7); (15) Ivi, p. 6; (16) K. Marx F. Engels, ‘Manifesto del partito comunista’, Torino, Einaudi, 1998, p. 105]