“Alcuni anni fa, in un articolo pubblicato su «Science and Society», B.H. Davis ha scritto che Sam Gompers, il leader dell’ ‘American Federation of Labor’ (AFL), cioè della più forte organizzazione sindacale degli USA, si può considerare un perfetto modello di «jingo americano». Si sa che la curiosa parola deriva dall’intercalare ‘by Jingo’ ricorrente in una canzonetta venuta assai in voga nei Music-halls londinesi nel 1876, ai tempi della guerra russo-turca. L’Inghilterra fu allora percorsa da una eccezionale ventata di sciovinismo e l’opinione pubblica anche a livello popolare sembrò eccitarsi all’idea di un intervento nella crisi orientale, presa come una sfida lanciata direttamente alla nazione. A. Moireau e W. Clarke che forse per primi si sono occupati del ‘jingoismo’ in alcuni articoli apparsi tra il 1896 e il 1897 sono concordi sul suo carattere originariamente anglosassone: pare accertato, infatti, che in principio se ne sia parlato proprio per riferirsi ai «Tartarini delle rive del Tamigi» che si erano tanto agitati perché il loro paese corresse a dare man forte ai turchi contro il detestato impero zarista. Poi il termine si è generalizzato per indicare a) una forma molto speciale, ‘colonial-imperialista’ di sciovinismo che si manifesta b) come fenomeno di massa ‘popolare-proletaria’ spinto fino all’isteria collettiva da c) una partecipazione emotiva tutta ‘spettacolare’ a una prova di forza abbastanza violenta per ridestare gli istinti più primordiali. (…) Su questo punto ha poi molto insistito anche John A. Hobson che ha il merito di averci dato la prima analisi approfondita e sistematica di questo interessante fenomeno. Nel 1901 Hobson vi dedicò un ampio saggio (‘Psychology of Jingoism’) molto avvincente e persuasivo; l’anno dopo condensò i brillanti risultati di questa prima riflessione in un capitolo del suo più famoso libro sull’imperialismo. Egli aveva delle buone ragioni per farlo, essendo convinto che le radici psicologiche della passione jingoista affondassero principalmente nelle mistificazioni della propaganda e della politica imperialista. La sintesi del suo ragionamento è racchiusa in questa definizione: «Il jingoismo è né più né meno che la smania, non nobilitata da alcuno sforzo o rischio o sacrificio personale, dello spettatore che gioisce dei pericoli, delle sofferenze e dello sterminio di fratelli che non conosce, ma di cui brama la distruzione in preda a cieco impulso di odio o di vendetta, suscitato artificiosamente». (…) Se si esaminano gli appunti e le glosse dei ‘Quaderni sull’imperialismo’ di Lenin ci si accorge che anch’egli rimase molto colpito dalle perspicaci considerazioni di Hobson sul motivo della «voluttà visiva» del jingoista. Lenin condivideva l’opinione che si trattasse di un fenomeno proprio dei paesi più evoluti, dell’Europa occidentale (Inghilterra, in primo luogo) e degli USA, benché lo connettesse più di quanto pensasse Hobson alla coscienza deviata dall’aristocrazia operaia. Il riferimento di Hobson a un ‘jingoismo americano’ appare del tutto giustificato se si considera che all’inizio del ‘900, nel momento del suo massimo impegno teorico sui problemi dell’imperialismo, gli USA stavano dando una prova veramente clamorosa di colonial-sciovinismo a tutti i livelli sociali. Bisogna però precisare che, sia pur con minor risonanza e in dimensioni sociali più discrete, lo spirito jingoista si diffuse nella società americana già prima di arrivare al conflitto con la Spagna, che è l’avvenimento col quale si usa in genere datare l’ingresso degli USA nella competizione imperialistica mondiale. Molti storici ritengono che ci siano fondati motivi per affermare che l’imperialismo statunitense di fine secolo non fu un fatto improvviso, né fortuito, ma lo sbocco di un lento e relativamente lungo processo di maturazione” (pag 133-135) [Renato Monteleone, ‘Sam Gompers: profilo di un «jingo» americano’ (in) ”Il movimento operaio negli Stati Uniti’, ‘Movimento operaio e socialista’, Genova, n. 1-2, 1976]
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- Articolo pubblicato:11 Marzo 2025