“I più importanti pensatori sociali hanno meditato sulle intricate relazioni che corrono tra potere politico, forza economica e status sociale. Lungi dal guardare al dominio di classe in termini puramente economici, Marx ed Engels indagarono la dipendenza reciproca dei fattori economici, sociali e politici in differenti epoche storiche, sì da ricavarne lumi politici utili all’analisi delle configurazioni di potere del loro tempo. Benché sopravvalutassero la velocità e la misura della crescita del capitalismo manifatturiero e industriale, non ignorarono mai la persistenza di forme più antiche della proprietà terriera e del capitale. Non solo, ma insistettero che i governi, i quali mediavano i conflitti tra i detentori di tipi differenti di proprietà e di capitale, godevano di una certa autonomia. In effetti, Marx sottolineò esplicitamente che lo Stato era «una realtà separata accanto e fuori della società civile», e che «l’indipendenza dello Stato la si ritrova oggigiorno soltanto in quei paesi in cui gli stati non si sono ancora completamente sviluppati in classi, in cui gli stati, scomparsi nei paesi più avanzati, hanno ancora un ruolo da giocare, e dove esiste una mescolanza, paesi… in cui nessuna sezione della popolazione può arrivare a dominare le altre». Naturalmente, Marx si aspettava che in ciascun paese la borghesia capitalistica avrebbe sfidato il ceto fondiario – i cui membri sempre più si comportavano come una classe politica – finché le borghesie non fossero giunte a dominare tutti i governi in un sistema mondiale di Stati in concorrenza. Ma, giudicando dai suoi scritti non-filosofici e non-teoretici, Marx si rendeva pienamente conto del fatto che la società politica non era in procinto di diventare un puro strumento del dominio borghese, per la semplice ragione che le frazioni di classe preborghesi e non-borghesi continuavano a detenere un potere ed un’influenza enormi. Analogamente, Engels riconobbe che gli sviluppi del capitalismo industriale non erano seguiti «da alcun immediato corrispondente mutamento nella struttura politica». A suo giudizio, «la società diveniva sempre più borghese, mentre l’assetto politico restava feudale». Beninteso, non si può negare che nella loro concezione ideologica Marx ed Engels prevedessero società capitalistiche in cui la borghesia avrebbe monopolizzato lo Stato, e l’avrebbe impiegato per soggiogare il proletariato dei salariati. Ma nella loro analisi storica e nella loro prassi politica non cessarono mai di meditare sul ruolo di società politiche autonome che si rivelavano nient’affatto neutrali ogniqualvolta operavano nel senso di riequilibrare e conciliare gli interessi della declinante nobiltà terriera e della nascente borghesia capitalistica (il tutto a vantaggio della prima). Negli anni successivi al 1848, nei suoi scritti teorici Marx si concentrò sulla teoria economica del capitalismo, mentre negli articoli di giornale, lettere ed opuscoli, e segnatamente nel ‘Diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte’, si occupò – con analisi sempre ispirate al rigore concettuale – degli sviluppi politici. Egli ed Engels cercarono di cogliere e di esporre la dinamica delle interconnessioni di società politica e società civile che sboccava nella repressione e nella guerra; e ciò fecero con concretezza storica, e non già sforzandosi di applicare una qualche teoria politica preformata, che esplicitamente ripudiarono. Max Weber imboccò una via quasi esattamente contraria, soprattutto dopo la prolusione di Friburgo del 1895, in cui, come già Engels, sottolineò il rapporto di incongruenza tra società e organismo politico nel Secondo Reich” (pag 119-121) [Arno J. Mayer, ‘Il potere dell’ Ancien Régime fino alla prima guerra mondiale’, Laterza, Bari, 1982]
- Categoria dell'articolo:Nuove Accessioni
- Articolo pubblicato:5 Settembre 2024