“La reazione e le prospettive della rivoluzione. «Hai perfettamente ragione di dire che è impossibile superare l’apatia contemporanea per mezzo delle teorie», scriveva Lassalle a Marx nel 1854, cioè in un periodo di furiosa reazione mondiale. «Io generalizzerei questo pensiero e direi che finora non si è potuto “mai” vincere l’apatia con mezzi puramente teorici; e cioè che gli sforzi della teoria per vincere questa apatia hanno generato dei discepoli e delle sètte, oppure dei moti rimasti infruttuosi, ma che non hanno mai suscitato un moto vero e proprio né un movimento generale degli spiriti. Le masse non entrano nel torrente del movimento, in pratica come in spirito, che in seguito alla forza ribollente degli avvenimenti». L’opportunismo non lo capisce. Sembrerà forse un paradosso il dire che la caratteristica psicologica dell’opportunismo è la sua incapacità d’aspettare. Eppure è così. Nei periodi in cui le forze sociali alleate e avversarie col loro antagonismo o con le loro mutue reazioni portano nella politica una piatta calma; quando il lavoro molecolare dello sviluppo economico aumenta ancora le contraddizioni – e invece di rompere l’equilibrio politico, dà piuttosto l’impressione di rafforzarlo per il momento e di assicurargli una specie di perennità – l’opportunismo, divorato dall’impazienza, cerca attorno a sé «nuove» vie, «nuovi» mezzi per realizzarsi. Esso si esaurisce in lamentele sull’insufficienza e sulla incertezza delle proprie forze e cerca degli «alleati». Esso si getta avidamente sul letamaio del liberalismo. Lo scongiura, lo chiama. Inventa ad uso del liberalismo speciali formule di azione, ma il letamaio non esala che il suo tanfo di decomposizione politica. L’opportunismo allora razzola nel mucchio di letame qualche piccola perla di democrazia. Ha bisogno di alleati. Esso corre a destra e a sinistra e ad ogni crocicchio cerca di prenderli per la giacca. Si rivolge ai suoi «fedeli» e li esorta a usare la massima cortesia verso ogni eventuale alleato. «Del tatto, ancora e sempre del tatto!». Esso soffre di una malattia che è «la mania del tatto», e, nel suo furore, schiaffeggia e ferisce la gente del suo stesso partito. L’opportunismo vuol tenere conto di una situazione, di condizioni sociali che non sono ancora mature. Esso vuole «un successo» immediato. Quando i suoi alleati dell’opposizione non possono servirlo, ricorre al Governo; cerca di persuadere, supplica, minaccia… Finalmente trova un posto nel Governo (ministerialismo), ma solamente per dimostrare che, come la teoria, anche il metodo amministrativo, non può anticipare la storia. L’opportunismo non sa aspettare. Per questo i grandi avvenimenti gli sembrano sempre inaspettati. I grandi avvenimenti lo sconcertano; non tocca più il fondo, è trascinato come un truciolo nel loro turbine, e va a finire a volte su una sponda a volte sull’altra… Tenta di resistere, ma invano. Allora si sottomette, fa finta d’esser soddisfatto, muove le braccia per dare l’impressione di nuotare, e grida più forte di tutti… E quando l’uragano è passato, arrampicandosi risale a riva, si scrolla con aria disgustata, si lamenta d’aver mal di capo, d’esser indolenzito, e, nel malessere dell’ubriachezza che ancora lo tormenta, non risparmia le parole crudeli verso gli uomini della rivoluzione «che non fanno che castelli in aria…». [Leone Trotsky, ‘Le “soluzioni facili”‘, Mondo Operaio, n. 6-7, Giugno-Luglio 1958, pag 57]
- Categoria dell'articolo:Nuove Accessioni
- Articolo pubblicato:4 Aprile 2023