“Quello che dette al partito socialista un violento scossone fu un fatto storico d’importanza non solo locale ed italiana ma collegato al corso dell’imperialismo mondiale, e gli effetti furono favorevoli alla posizione che il partito italiano potrò prendere nel 1914. Giolitti, tornato al potere (con audace manovra, egli aveva fatto di tutto per avere Bissolati nel ministero, ma non vi riuscì, e forse il più serio ostacolo si ridusse, nella pacchiana Italia, a una questione di giacca e non frac al Quirinale!), il 29 settembre 1911 dichiarava guerra alla Turchia e la flotta italiana occupava Tripoli. Non è fuori luogo notare che il pretesto fu la vittoria dei ‘Giovani Turchi’, accusati di «nazionalismo». Non si dimentichi che quella rivoluzione, popolare e non proletaria, contro il regime feudale turco, fu altamente apprezzata da Lenin. Il movimento proletario si era fieramente levato contro l’impresa nazionalista di Tripoli, secondo le sue non recenti tradizioni anticoloniali. Lo sciopero generale non ebbe esito completo, ma vivissime furono le dimostrazioni contro la partenza delle truppe. Il gruppo socialista votò un ordine del giorno Turati contro la guerra, ma ne dissentirono i destri De Felice, Bissolati, Bonomi, Cabrini e Podrecca. È da notare che non pochi «sindacalisti rivoluzionari» si dichiararono fautori dell’impresa libica, in prima linea Arturo Labriola, Orano ed Olivetti. Il congresso straordinario si riunì il 15 ottobre 1911 a Modena sotto l’influenza di questa situazione generale. Bussi, per Treves e per i ‘riformisti di sinistra’, deprecò la guerra e sostenne il passaggio alla decisa opposizione a Giolitti, non per questo rinunziando in linea teorica all’antico possibilismo. Lerda ancora una volta (e qui meglio che altrove) ribatté felicemente che, quanto alla prima, non si trattava di una qualunque congiuntura politica, ma dell’origine del fatto bellico dalla essenza del capitalismo e che, quanto al secondo, non ci si poteva fermare ad esso, ma urgeva constatare il fallimento della colpevole illusione di attendersi vantaggi per il proletariato e per il socialismo dallo Stato borghese, e condannare la tendenza a subordinare le finalità ultime del movimento agli interessi immediati della classe operaia espressi nelle sue organizzazioni economiche (…). Per i rivoluzionari anche Francesco Ciccotti sostenne che l’opposizione alla guerra di Libia doveva basarsi non su motivi contingenti come le ‘spese’ deviate dall’opera di riforme, ma sui principi internazionalisti. Turati parlò pure abilmente contro Tripoli. Lazzari con ragione disse che non era contento neppure dell’ordine del giorno (Lerda) della sua frazione. (…) La lotta fu tra ben cinque correnti: riformisti di destra, con 1954 voti; di sinistra, Treves e Turati, 7818; idem Modigliani (…), 1736; integralisti o centristi di Pescetti, 1073; infine rivoluzionari, 8646. Questi avevano finalmente raggiunto la vittoria relativa (…). Il 23 febbraio del 1912 tutto il Gruppo socialista, ma con ben diversa intonazione nei discorsi di Turati e Bissolati, vota contro l’annessione della Libia al Regno d’Italia. In quell’occasione si liquida finalmente il gran pagliaccio Enrico Ferri, che aveva votato a favore. Già nelle piazze lo avevamo fischiato via. Ma il 14 maggio vi fu un altro evento, sia pure non di peso storico. Il muratore Antonio d’Alba sparò contro il re. Tutti andarono al Quirinale su proposta del repubblicano Pantano, e dei socialisti ruppero la disciplina del gruppo Bonomi, Bissolati e Cabrini. Scoppiò l’indignazione nel partito; Mussolini, che al tempo di Modena era in carcere per le azioni antibelliche, sulla «Lotta di Classe» di Forlì, che insieme al settimanale nazionale «La Soffitta» ed altri giornali locali era coi rivoluzionari, a gran voce chiese l’espulsione dei tre al congresso previsto per il 7-10 luglio 1912 a Reggio Emilia. In questo congresso ebbero importanza le riunioni della frazione intransigente rivoluzionaria, in cui gli elementi più giovani presero posizioni di avanguardia che hanno relazioni con gli sviluppi ulteriori di un’effettiva sinistra. Questa volta fu subito imposta la discussione sugli errori della Direzione e del Gruppo parlamentare. (…) Podrecca si difesa bene invocando Antonio Labriola che molti avevano la debolezza di presentare come teorico del marxismo in Italia: Antonio, diciamo (e non Arturo), che in nome di una diffusione mondiale del capitalismo avanzato, base del socialismo, aveva difeso le conquiste coloniali. Altro uomo abile, Podrecca gridò che non avrebbe firmato un articolo dell’«Avanti!» che augurava lo sventolio del tricolore sulle balze trentine. Non siamo in grado di dire se la diabolica allusione volesse colpire Mussolini che aveva lavorato nel Trentino perseguitato dagli austriaci, i quali tra patrioti e socialisti non andavano forse per il sottile: Mussolini, comunque, non disse nulla” (pag 51-53) [A.B., ‘Storia della sinistra comunista. I’., Edizioni Il Programma Comunista, Milano, 1964]
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- Articolo pubblicato:17 Febbraio 2023