“(…) [D]urante la guerra, Lenin aveva abbozzato a grandi linee una teoria della «transizione al socialismo» che Pollock considera, quasi alla stregua di un vero programma di governo, alla base delle prime misure adottate all’indomani della rivoluzione. In linea generale egli condivide le tesi leniniane, che vede comprovate dagli stessi errori del leader bolscevico nel periodo del «cosiddetto comunismo di guerra» (‘der sogenannte Kriegskommunismus’): con tale espressione Pollock indica la fase successiva al «comunismo di guerra in senso stretto (‘Kriegskommunismus in engerem Sinn’), in cui guerra civile e blocco commerciale da parte delle potenze dell’Intesa giustificavano la militarizzazione totale dell’economia, che venne ad interrompere una prima fase di «esperimenti di pianificazione» – durata appena sette mesi – in cui, tuttavia, coerentemente alla teoria di Lenin erano stati presi i primi provvedimenti preparatori alla «transizione». Il periodo precedente alla NEP non ha niente da mostrare in fatto di pianificazione, ma ha comunque un suo valore teorico, in quanto dimostra la necessità di una fase di transizione relativamente lunga, in cui coesistano strutture capitalistiche e socialiste. (…) I primi sette mesi del governo bolscevico vengono denominati da Pollock «fase degli esperimenti statal-capitalistici»: qui egli adotta (tra virgolette) la terminologia leniniana, che indica nel capitalismo di stato appunto una forma di transizione, od anche l’ultimo stadio del capitalismo, in cui mediante la presa del potere da parte della classe operaia vengano create istituzioni che consentano il passaggio al socialismo (…). Pollock condivide le tesi di Lenin sulla transizione al socialismo; esse sono una corretta interpretazione del ‘Manifesto der kommunistichen Partei’ e la loro «ingenuità» è solo dovuta al modo divulgativo in cui Lenin le ha esposte. Le misure che ne conseguono sono, dopo l’espropriazione di apparato produttivo e creditizio, l’istituzione di cooperative di produzione e consumo, l’obbligo di aprire un conto presso la banca centrale e di effettuare le transazioni più importanti per suo tramite, infine la graduale sostituzione di pagamenti in denaro con pagamenti in natura (p. es. una quota di salari) (…). Per quanto limitate possano essere le misure iniziali, se esse sono orientate in una logica pianificatrice, possono mettere in moto una dinamica che rende possibili, se non necessari, ulteriori e più ampi interventi. Nello stesso tempo questi primi «esperimenti di ingegneria sociale» instaurano una sorta di meccanismo a «feed-back». Pollock sottolinea l’affermazione di Lenin secondo cui «l’esperienza pratica allarga infinitamente il nostro orizzonte ed ha un valore milioni di volte superiore ai migliori programmi» (1) ed in queste parole si può vedere riassunto quell’atteggiamento di fondo verso i problemi della pianificazione che è sotteso, come detto, all’impostazione del suo testo. Guerra e transizione: il «Kriegskommunismus». Se le metafore militari impregnano gli scritti leniniani – e marxisti in genere – sulla rivoluzione, ugualmente le teorie del capitalismo di stato e la teoria della transizione al socialismo sono legate a doppio filo all’esperienza della «Grande Guerra», a tal punto da poter venire lette come rielaborazione teorica di essa. La rivoluzione d’ottobre, nata dalla guerra, dovette essere subito difesa militarmente; la disastrata economica russa fu di nuovo posta al servizio delle necessità belliche, e ne venne, se possibile, ancora più provata. Pollock descrive il «comunismo di guerra» come un’«economia della fortezza assediata», che per qualche tratto esteriore ricorda il comunismo, ma che è priva di un piano e risponde solo ad uno stato di necessità. Come tale, a guerra finita, avrebbe dovuto essere prontamente abbandonata a favore dell’originaria politica di Lenin (…). La prosecuzione del «comunismo di guerra» come tentativo per «accorciare la strada per il socialismo» è stigmatizzato da Pollock come un errore gravissimo, fonte di ulteriori, e per di più vani sacrifici, per la popolazione, di spreco di risorse e di pericoli per la stessa realizzazione del socialismo. Se una fase di transizione è necessaria, lo sarà a fortiori per un paese nelle condizioni dell’URSS del 1920. In quell’anno non si arrivò, infatti, mai nemmeno ad abbozzare un piano complessivo, mentre la compartimentalizzazione dell’economia in «Glavki» (…) si rivelava fallimentare. Pollock commenta amaramente, ricordando le tesi centrali di ‘Stato e rivoluzione’ sul governo efficiente ed «a buon mercato» (…). Ma a parte le vittorie dell’armata rossa questa disastrosa politica ha verosimilmente le proprie radici in un errore teorico di Lenin, che Pollock critica più volte, ovvero la sua «smisurata sopravvalutazione dell’economia di guerra dei paesi europei, ed in particolare di quella tedesca» (…) in quanto plausibile modello di economia socialista, che però condiziona tutta la sua teoria del capitalismo di stato, riassunta brevemente da Pollock. Per Lenin la guerra avrebbe trasformato il «capitalismo monopolistico» in «capitalismo di stato»; nel «Kriegssozialismus» guglielmino egli vedeva un sistema altamente organizzato in vista di uno scopo materiale – la copertura del fabbisogno – e non «formale» come la valorizzazione del capitale: perciò avrebbe costituito una «perfetta preparazione materiale del socialismo, la porta d’ingresso ad esso» (ivi, 309) in quanto ultimo stadio del capitalismo»” [Carlo Campani, ‘Pianificazione e teoria critica. L’opera di Friedrich Pollock dal 1923 al 1943’, Napoli, 1992] [(1) Pollock, ‘Die gegenwärtige Lage der Kapitalism’, 1929, 44] [Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM*]