“Il marxismo “è la teoria di azione, la teorizzazione del fare umano, la praxis” si legge ancora nell’articolo ricordato del 1924. Ma questo “fare umano” non è altro che lo scontro delle forze antagonistiche operanti in una situazione data, che a seconda della loro coesione, del loro grado di consapevolezza, rende attuale un esito che è all’inizio solo oggettivamente possibile. Il riassorbimento del materialismo storico nei limiti di un canone diviene impossibile per Gramsci  a partire dal momento in cui si dimostra come, per usare le parole di Croce, dalle preposizioni di scienza si possano dedurre i programmi politici, facendo delle volontà collettive le espressioni di un’oggettività della contraddizione indagabile scientificamente. Questi concetti si trovano espressi molto chiaramente nel secco rifiuto della tesi engelsiana che il contributo scientifico di Marx possa essere individuato nel materialismo storico e nella teoria del plusvalore. Il punto fondamentale, ribatte nel 1926 Gramsci ad Arturo Labriola, che si è fatto interprete di questo luogo comune di tutta la preesistente tradizione marxista, è la “dimostrazione della necessità storica della dittatura del proletariato”. Né tragga in inganno l’uso della formula politica, che sta appunto a significare la volontà di rompere con la considerazione del marxismo come teoria astrattamente oggettiva. “Già nelle glosse su Feuerbach del 1844 [sic] Marx afferma che il compito attuale non è quello di spiegare il mondo, ma quello di trasformarlo. Mettere in vista del marxismo solo la parte che spiega il mondo e nascondere le parti ben più importanti, secondo lo stesso Marx, che mirano ad organizzare le forze sociali rivoluzionarie, il proletariato, che devono necessariamente trasformare il mondo significa ridurre il marxismo al ruolo di una qualsiasi teologia.” (Gramsci, ‘La costruzione del partito comunista (1923-1926)’, 1971). Se non si riesce a vedere nel marxismo “un indirizzo politico della classe operaia tendente all’instaurazione della dittatura proletaria”, esso si riduce – dice ancora Gramsci in una replica ad Arturo Labriola – “un fatto puramente speculativo” (ibid)” [Leonardo Paggi, ‘Le strategie del potere in Gramsci. Tra fascismo e socialismo in un solo paese, 1923-1926’, 1984]