“(…) [L’] opera di Marx ha attratto l’attenzione dagli anni venti in poi, grazie in gran parte a un volume di saggi pubblicati nel 1923 (in tedesco) dal marxista ungherese György Lukács con il titolo ‘Storia e coscienza di classe’. Lukács che era un allievo di Weber, oltreché uno studioso di Marx, viene definito talvolta come il marxista più originale dopo lo stesso Marx. In seguito alla pubblicazione di ‘Storia e coscienza di classe’, egli fu subito attaccato per aver evirato il materialismo dialettico e fu successivamente costretto (o forse non proprio costretto), a ritrattare quando negli anni ’30 fuggì dalla Germania di Hitler per recarsi nella Russia di Stalin (1). Ma la pubblicazione di nuovi scritti giovanili di Marx che non erano ancora accessibili negli anni ’20 ha in gran parte confermato l’interpretazone che Lukács aveva dato dell’opera più tarda di Marx. Lo stesso Lukács, pur conquistandosi una fama sempre maggiore come critico letterario e filosofo, ha continuato a rinnegare le opinioni espresse nel 1923. Ciononostante egli rimane uno dei principali attori della rivalutazione di Marx come umanista filosofico che è stata ripresa poi dai revisionisti degli anni ’50. È difficile negare che Marx e Engels, nella posteriore esposizione delle loro opinioni, enunciavano una dottrina che ha un aspetto molto diverso dal tono moralistico, satirico ed essenzialmente filosofico degli scritti di Marx all’inizio e verso la metà degli anni 1840. Se si mettono a confronto i primi scritti di Marx con gli ultimi (e con la loro interpretazione da parte di Engels) si è colpiti subito da un paradosso. Da un lato, Marx diventa molto più scientifico; la polemica c’è ancora, ma è soffocata da una massa gigantesca di dati e di analisi economiche. La teoria del plusvalore viene esposta e ripetuta, ma la discussione puramente filosofica scompare quasi del tutto, e sia Marx che Engels tracciano un esplicito parallelo tra l’opera di Marx e quella di Darwin. Ma al tempo stesso, sia Marx che Engels si preoccupano di correggere l’interpretazione eccessivamente meccanicistica che si può dare dell’opera di Marx. Negli anni 1890 Engels poteva affermare che i giovani marxisti attribuivano più importanza del dovuto al fattore economico e allo stesso Marx è attribuita la famosa frase “je ne suis pas un marxiste”. Come si riconciliano dunque le due cose? La risposta più facile si trova forse mettendo in rilievo che nei suoi passi più filosofici, Marx era ancora (o era già) un materialista. Nei suoi scritti precedenti al 1847 egli si esprimeva per lo più (anche se non sempre, se si vuol essere precisi) come un materialista consapevole e originale (2). Sebbene l’espressione “materialismo storico” non sia sua (fu usata dapprima da Engels) Marx si vedeva come il lucido e freddo oppositore di un nebuloso idealismo hegeliano. Nei suoi feroci attacchi ai “giovani hegeliani”, che in qualche caso furono considerati eccessivi perfino da Engels, egli mostra un profondo disprezzo per quella che si chiama “vecchia spazzatura hegeliana”. “‘Il solo punto'”, scriveva in una lettera del 1846 rimasta famosa, “su cui mi trovo d’accordo con Monsieur Proudhon è la sua avversione per le fantasticherie sentimental-socialiste” (3). Con abbastanza logica, Marx ed Engels continuarono a vedere con favore ogni segno di imminente crisi economica, perché le bancarotte e i raccolti mancati sono i più sicuri presagi della rivoluzione imminente. L’umanitarismo, sembra dire spesso Marx, è poco importante nella migliore delle ipotesi, nella peggiore è decisamente dannoso” (pag 50-52) [Walter G. Runciman, ‘Sociologia e filosofia politica’, Isedi, Milano, 1973, cap. III, ‘Karl Marx e Max Weber] [(1) La tesi che la ritrattazione di Lukács possa essere stata sincera viene avanzata da Morris Watnick in uno studio su Lukács pubblicato per la prima volta in “Soviet Survey” e successivamente ristampato in “Revisionism” a cura di L. Labedz, 1962, cap. X. (…); (2) In senso stretto occorre fare qualche riserva perché in diversi punti dei suoi primi scritti, Marx polemizza contro quello che definisce come materialismo. Nella critica di Hegel da me citata nel II capitlo a un certo punto egli parla del “Krasse Materialismus” della burocrazia prussiana, e nell’ultima della sua serie di articoli sui “Debatten über das Holzdiebstahlgesetz” (1842) egli parla di “Dieser verworfene Materialismus”. Ma sembra abbastanza evidente che qui egli usa il termine in quello che si potrebbe chiamare il suo impiego in senso comune (…); (3) Marx a P.V. Annenkov, 28 dicembre 1846]