“Ma «non è ancora tutto. Lo scambio maggiore non è quello delle merci, ma quello del lavoro con le merci (…). I lavoratori non venderebbero alla banca il proprio lavoro, bensì», stando al dogma proudhoniano, «riceverebbero il valore di scambio dell’intero prodotto del loro lavoro ecc. A ben guardare, dunque, la banca sarebbe non solo il compratore e venditore universale, ma anche il produttore universale. In realtà, sarebbe o il governo dispotico della produzione e l’amministratrice della distribuzione, oppure non sarebbe altro che un ufficio [‘board’] che terrebbe la contabilità per la società lavorante in comune» (22) (dunque, un organo di pianificazione socialista); ma allora, l’ideale proudhoniano di un «eguale scambio di merci» si capovolgerebbe nel suo opposto. «Siamo così giunti», conclude Marx, «al problema fondamentale (…) È possibile rivoluzionare i rapporti di produzione esistenti e i rapporti di distribuzione che ad essi corrispondono mediante mutamenti nello strumento della circolazione – nell’organizzazione della circolazione? Seconda domanda: Si può intraprendere una simile trasformazione della circolazione senza incidere sugli attuali rapporti di produzione e sui rapporti sociali che su di essi si basano? Se ogni trasformazione simile nella circolazione stessa presupponesse a sua volta delle trasformazioni nelle altre condizioni di produzione e dei rivolgimenti sociali, è ovvio che cadrebbe ‘a priori’ una dottrina le cui proposte artificiose in materia di circolazione mirano da un lato a evitare il carattere violento delle trasformazioni stesse, dall’altro a fare di queste trasformazioni non il presupposto ma, viceversa, il risultato graduale del rivoluzionamento della circolazione» (23). «Dev’essere ora perfettamente chiaro che si tratta di un’abborracciatura, finché si conserva la base del valore di scambio; e che l’illusione per cui sarebbe il denaro metallico a falsificare lo scambio deriva da una totale ignoranza della sua natura. D’altra parte, è altrettanto chiaro che, nella misura nella quale l’opposizione ai rapporti di produzione esistenti cresce, e questi stessi spingono alla loro violenta trasmutazione, la polemica si rivolge contro il denaro metallico o contro il denaro in generale come al fenomeno più vistoso, più contraddittorio e più crudo in cui il sistema tangibilmente si rivela. Con ogni sorta di artifici operati su di esso si cerca allora di superare antagonismi dei quali esso non è che il fenomeno palese. Non meno chiaro che molte operazioni rivoluzionarie si possono condure nel suo ambito solo in quanto un attacco al medesimo sembra lasciare tutto come prima e limitarsi a rettificarlo (24). Succede allora che si picchi sul sacco e si abbia in mente l’asino. Ma finché l’asino non sente le botte sul sacco, in realtà si colpisce unicamente il sacco e non l’asino: non appena la sente, è l’asino e non il sacco ad essere picchiato. Finché le operazioni vengono dirette contro il denaro in quanto tale, non è che un attacco a conseguenze le cui cause continuano a sussistere; dunque, un disturbo del processo produttivo, che la solida base possiede anche la forza di (…) dominare (…) mediante una reazione più o meno violenta» (25). Come si vede, la critica di Marx all’utopia del denaro-lavoro (26) costituisce già in larga misura un frammento delle sua teoria della moneta; e un frammento essenziale – la teoria della formazione del denaro. È quindi tempo di affrontare questo tema al quale il manoscritto dedica esaurienti sviluppi” (pag 139-140) [Roman Rosdolsky, ‘Genesi e struttura del ‘Capitale’ di Marx’, Editore Laterza, Roma Bari, 1971] [(22) ‘Grundrisse’, pp. 72-3 [Lineamenti, I, pp. 95-6]; (23) Ivi, p. 42 (Ivi, I, p. 52); (24) Cfr. l’analogo giudizio di Marx sulla teoria proudhoniana dell’interesse: «Non v’è dubbio, anzi è del tutto evidente , che lo sviluppo del credito, che in Inghilterra al principio del secolo XVIII e più recentemente all’inizio del nostro secolo ha servito a trasferire le ricchezze da una classe all’altra, potrebbe servire, in date condizioni politiche ed economiche, ad accelerere l’emancipazione della classe operaia. Ma considerare il capitale produttivo di interesse come forma principale del capitale, voler fare di una particolare applicazione del credito, della pretesa abolizione dell’interesse, la base della trasformazione della società, è davvero una fantasia piccolo-borghese» (lettera a Schweitzer del 24.1.1865, MEW, XVI, pp. 30-1 [in appendice alla ‘Miseria’, p. 182]. Della teoria proudhoniana dell’interesse tratteremo el cap. XXIV, 4; (25) ‘Grundrisse’, p. 152 (Lineamenti, I, p. 208); (26) Tralasciamo qui la critica di Marx alla teoria proudhoniana delle crisi, della quale, in questo contesto, egli non tratta]