“È noto come Marx non abbia mai riconosciuto direttamente una qualsiasi forma di parentela teorica con il pensiero politico russoiano. Si è anche parlato a questo proposito di una «confusa coscienza ch’ebbero del loro debito storico verso Rousseau i fondatori del socialismo scientifico» (1). Tuttavia non solo è lecito porre per il marxismo, nei suoi possibili sviluppi teorici, il problema di un rapporto con Rousseau meno esterno e incidentale di quello che risulta direttamente dai testi di Marx e di Engels, ma occorre anche distinguere, dal punto di vista del giudizio storico, i diversi momenti in cui il processo di sviluppo e di approfondimento delle concezioni di Marx entra oggettivamente in rapporto con la tematica del pensiero russoiano. Nel ‘Contratto sociale’, di cui Marx si occupa meno casualmente che altrove nella ‘Questione ebraica’ a conclusione della sua analisi dei limiti della democrazia borghese (2), vive una tradizione ideologica il cui superamento critico è il primo compito scientifico che lo stesso Marx ha dovuto porsi per aprirsi la strada a una nuova visione della prospettiva di sviluppo della società moderna. Non deve quindi sorprendere se nel separarsi da quella tradizione Marx sente il bisogno di separarsi anche da quel Rousseau, nel quale egli stesso nel primo periodo giovanile, nelle battaglie politiche e culturali della ‘Gazzetta renana’ aveva riconosciuto uno dei rappresentanti di quella «sempre nuova filosofia della ragione» che aveva contribuito a fondare la politica come scienza (3). Nella sostanza questo distacco in Marx è definitivo e negli anni immediatamente successivi sarà anche accentuato dal fastidio per l’utilizzazione retorica che del democraticismo russoiano veniva fatta in quel periodo dal quarantottesco radicalismo piccolo-borghese; fastidio che in qualche momento lo porta perfino a guardare con indulgente compiacimento all’antirussoismo di un Proudhon (4). Più tardi invece, in una nota lettera a Schweitzer del 1865, è proprio nel confronto con Proudhon che Marx rivaluta la statura di Rousseau e la grandezza della sua etica politica: «Si è spesso paragonato Proudhon a J.J. Rousseau. Nulla di più falso»; e al punto di vista piccolo borghese del primo («ciarlatanismo scientifico e accomodamenti politici sono inseparabili da tale punto di vista. Non resterà più che un solo movente, la ‘vanità’ dell’individuo, e allora, come per tutti i vanitosi, non si tratta più che dell’effetto del momento, del successo del giorno») contrappone «quel semplice tatto morale che, ad esempio, preservò Rousseau da qualsiasi compromesso, anche apparente, con i poteri costituiti» (1). Per quanto incidentale, questo nuovo modo di accostarsi a Rousseau non rimane in Marx un fatto isolato. La citazione, nel ‘Capitale’, di una battuta sarcastica dello scritto russoiano sull”Economia politica’ (2), può essere anche considerata, se si vuole, come una semplice «citazione-omaggio»; ma si tratta in ogni caso di un omaggio reso a Rousseau diverso dal teorico della sovranità popolare sulla base di un «contratto» stipulato dalla volontà etica degli uomini associati, diverso cioè da quel Rousseau ricordato con distacco critico in opere come la ‘Questione ebraica’, l”Ideologia tedesca’, e l”Introduzione’ del ’57 a ‘Per la critica dell’economia politica’” (pag 62-64) [dall’introduzione di V. Gerratana in J.J. Rousseau, ‘Discorso sull’ origine e i fondamenti dell’ ineguaglianza tra gli uomini. (1755)’, Ed. Riun., Roma, 1973] [(1) G. Della Volpe, ‘Rousseau e Marx’, cit., p. 131; (2) K. Marx, ‘Sulla questione ebraica’, in K. Marx F. Engels, op. cit., p. 100; (3) Cfr. K. Marx, ‘Scritti politici giovanili’, a cura di Luigi Firpo, Torino, Einaudi, 1950, pp. 154-155; (4) Nel 1851, occupandosi in alcune lettere a Engels dell’opera di Proudhon ‘Idée générale de la Revolution au XIX siècle’, Marx, pur giudicando severamente il libro, scriveva: «Nei confronti di Louis Blanc ecc., lo scritto è gustoso, particolarmente per gli sfoghi impertinenti contro Rousseau, Robespierre, Dio e la ‘fraternité’ e simili scipitaggini» (e già in una lettera precedente: «Il libro contiene attacchi ben scritti contro Rousseau, Robespierre, la Montagna ecc.». Nella sua risposta Engels non sembra condividere in tutto questo giudizio: «Negli attacchi contro L. Blanc, Robespierre, Rousseau ci sono qua e là delle cose garbate, ma nell’insieme non si può leggere nulla di più pretenzioso e superficiale che la sua critica della politica, p. es. della democrazia…» (cfr. Carteggio Marx-Engels, vol. I, Roma, Ed. Riun., 1950, pp. 270, 284, 285); (5) Lettera di Marx a Schweitzer del 24 gennaio 1865, in Appendice a K. Marx, ‘Miseria della filosofia’, Roma, Editori Riuniti, 1949, pp. 183-184; (6) Cfr. K. Marx, ‘Il Capitale’, L. I, trad. di Delio Cantimori, Roma, Editori Riuniti, 1964, (5a ed.), p. 809. Il passo completo di Rousseau che Marx cita parzialmente, riferendo il discorso alla figura del capitalista, è il seguente: «Riassumiamo in poche parole il patto sociale tra i due stati. ‘Voi avete bisogno di me, perché io sono ricco e voi siete povero; facciamo dunque un accordo tra noi: io permetterò che voi abbiate l’onore di servirmi, a condizione che voi mi diate il poco che vi resta in cambio della fatica che sosterrò nel comandarvi» (O.C., III, p. 273). Anche nelle ‘Teorie sul plusvalore’ Marx cita, contro Malthus, Rousseau (cfr. K. Marx, ‘Storia delle teorie economiche’, vol. III, Torino, Einaudi, 1958, p. 64)]