“I teorici della classe borghese, di fronte agli «inconvenienti» (così essi li definiscono) del meccanismo antagonistico della produzione borghese, assumono atteggiamenti diversi. C’è chi (Smith, Ricardo) nella miseria proletaria non vede altro che «il dolore [accidentale, una sofferenza contingente] che accompagna ogni parto della natura come nella industria». Altri («gli economisti umanitari»), di fronte a quello che definiscono «il lato cattivo degli attuali rapporti di produzione», cercano dei «palliativi» che possano mitigare i «contrasti reali», invitano alla «moderazione» e teorizzano una (astratta) distinzione «fra la teoria [borghese]  e la pratica, fra i principi e i risultati, fra l’idea e l’attuazione, [dunque] fra il lato buono e il lato cattivo». Ed altri ancora («i perfezionisti», i «filantropi») progettano una società in cui tutti gli uomini siano borghesi. Di fronte allo scarto fra la teoria, che in sé, e a loro giudizio, non contiene contraddizioni, e la prassi (la miseria, la sofferenza del proletariato), essi tendono a negare «la necessità degli antagonismi». Ma questa loro «teoria» nasce da una completa astrazione dagli antagonismi che si manifestano nella realtà. Essi vogliono conservare le categorie economiche «che esprimono i rapporti borghesi», ma purificati, cioè liberati dall’antagonismo che li sostanzia nella realtà e che, invece, è da essi «inseparabile». Essi, nonostante il loro attacco alla prassi borghese, che si porrebbe in antitesi dalla teoria in sé non antagonistica, sono in realtà più borghesi degli altri. Per Marx, Proudhon è uno di questi. Egli assume, per esempio, che in sé «la divisione del lavoro» sia una «categoria semplice ed astratta» che genera «inconvenienti» nel suo concretizzarsi. Gli inconvenienti nascono solo nel terreno della prassi. Ancora una volta si tratta di un procedimento «rovesciato». Nella realtà, il lavoro si organizza («si divide») diversamente nelle diverse epoche a seconda degli strumenti reali dei quali dispone. Il mulino a braccia nel Feudalesimo presuppone una divisione del lavoro storicamente diversa da quella del mulino a vapore nel mondo moderno. Al solito, Proudhon non ha riguardi per la «storia reale», proprio perché parte dalla «divisione del lavoro in generale» (una categoria semplice ed astratta) per scendere agli «strumenti specifici di produzione». Ma il «carattere determinato» che la divisione del lavoro assume nelle diverse epoche non si lascia derivare dalla divisione del lavoro come «categoria astratta». L’origine storica della divisione del lavoro e del suo diverso storico configurarsi in situazioni determinate (estensione del mercato ecc.) non era sfuggito, invece, ai «materialisti» della Scuola scozzese della seconda metà del ‘700 (Ferguson, Smith)” (pag XXIV-XXV) [dall’introduzione di Pasquale Salvucci] [in ‘Miseria della filosofia. Risposta alla «Filosofia della miseria» del signor Proudhon’, di Karl Marx, Newton Compton, Roma, 1976]