“Già Lenin negli scritti in cui analizzava le radici profonde della I guerra mondiale, era giunto alla conclusione che si era aperto un nuovo periodo storico caratterizzato da una fortissima acutizzazione dei conflitti di classe e da una gravissima crisi economica e sociale. Di questo Lenin era convinto studiando attentamente la nuova fase attraversata dal capitalismo, che egli definiva del «capitalismo monopolistico e dell’imperialismo», caratterizzata da profonde trasformazioni strutturali nel modo di produzione, da una crescente divisione nell’assetto mondiale tra nazioni arretrati e avanzate, e da una sempre maggiore conflittualità tra queste ultime per l’accaparramento delle materie prime, dei mercati, e delle aree di esportazione dei capitali. Ora, proprio la guerra costituiva per Lenin l’espressione più evidente di una situazione non già transitoria ma destinata a riprodursi – al di là delle situazioni contingenti – incessantemente nel tempo, come «sbocco» inevitabile delle contraddizioni che ormai laceravano il sistema capitalistico mondiale. Di qui la convinzione di Lenin che il capitalismo fosse giunto nella sua «fase suprema»: e ciò non nel senso che fosse ormai incapace di espandere le forze produttive, o di creare le condizioni per una nuova fase di ripresa economica, ma nel senso che la borghesia come classe dominante aveva perso ogni carattere «progressivo», e non poteva ormai mantenersi al potere se non al prezzo di conflitti sempre più rovinosi, di uno spreco enorme di risorse, e di una politica di intensificata oppressione del proletariato dei paesi industrializzati e dei popoli dei paesi sottosviluppati. In base a tali analisi, la situazione di stato d’assedio dovunque instaurata all’interno degli stati belligeranti, veniva interpretata dalla sinistra internazionalista non come una fase contingente, ma come prima manifestazione di una offensiva più generale contro le posizioni raggiunte dal movimento operaio, destinata a durare molto più a lungo, essendo ormai tramontato il periodo della «evoluzione pacifica» del capitalismo, ed aprendosi una nuova epoca storica in cui sarebbe restato ben poco spazio per miglioramenti salariali e normativi, riforme politiche e sociali ecc., tutte conquiste gradualmente acquisite nei primi anni del ‘900. Conseguentemente, acquistava un significato preciso l’affermazione ricorrente secondo cui «dopo la guerra le classi dominanti in tutti i paesi intensificheranno sempre più i loro sforzi al fine di far retrocedere di molti decenni il movimento di liberazione del proletariato» (32). Ma al tempo stesso, il conflitto, esasperando la crisi politica e sociale del capitalismo mondiale, aveva posto all’ordine del giorno la trasformazione della guerra imperialista in guerra civile, della rivoluzione socialista nei paesi capitalistici più avanzati e della rivoluzione democratica e nazionale nei paesi oppressi dall’imperialismo: ed in tale quadro, il disegno reazionario delle classi dominanti si sarebbe scontrato con una crisi rivoluzionaria a livello mondiale di proporzioni mai conosciute. E’ importante sottolineare che questa analisi generale, non aveva (almeno nell’elaborazione di Lenin) un carattere economicistico e fatalistico, né considerava possibile il crollo del capitalismo se non attraverso l’azione diretta e cosciente del proletariato e dei suoi alleati. Ed in questo senso, la posizione di Lenin rappresentava un momento di radicale rottura con le tradizioni evoluzioniste (di destra e di sinistra) del marxismo della II Internazionale (importantissime le sue polemiche durante la guerra tanto con i revisionisti e con i centristi, quanto con i comunisti di estrema sinistra), e si traduceva nella teoria dello sviluppo ineguale e dell’anello più debole della catena (33). Non è ovviamente possibile soffermarsi in questa sede sul grande valore teorico, politico, «metodologico», dell’analisi generale di Lenin, la quale – pur con una serie di inevitabili limiti – non solo costituisce un punto di riferimento indispensabile per comprendere le radici economiche e politiche della I guerra mondiale, ma conserva sotto diversi aspetti ancora oggi una notevole «attualità», malgrado le trasformazioni del sistema capitalistico e imperialistico e dell’assetto statuale mondiale. Basterà qui sottolinearne la fondamentale validità e «scientificità», in rapporto alle principali indicazioni strategiche e tattiche che ne derivavano: dall’individuazione della nuova fase storica aperta dalla I guerra mondiale, alla definizione dei nuovi compiti del movimento rivoluzionario; dalla previsione degli sconvolgimenti politici, economici e sociali provocati dalla guerra tanto nei paesi capitalistici avanzati, quanto in quelli coloniali e semicoloniali, alla constatazione del crollo definitivo della II Internazionale, e della necessità di operare una radicale rottura con essa e di lavorare alla costruzione di una nuova Internazionale rivoluzionaria” [Claudio Natoli, ‘L’Internazionale comunista, il fronte unico e la lotta contro il fascismo in Italia e in Germania (1919-1923) (parte prima)’, ‘Storia contemporanea’, Il Mulino, Bologna, n. 1, marzo 1976] [(32) Cfr. Lenin, ‘La Conferenza delle sezioni all’estero del Partito Operaio Socialdemocratico Russo’, in Lenin, ‘La guerra imperialistica’, Roma, 1950, p. 22; (33) Su questi problemi molto interessanti le osservazioni di N. Poulantzas, ‘Fascismo e dittatura’, cit., pp. 17-24] [Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM*]