“Verso il 1830, le fiduciose predizioni circa lo splendido futuro che, sulla base dell’industrializzazione, si preparava per il genere umano, erano già un fatto comune. Ma i sansimoniani andarono oltre, proclamando che lo sfruttamento della natura esterna (‘la nature extérieure’) nelle condizioni create dalla scienza e dalla tecnologia moderne avrebbe modificato in maniera radicale il corso della storia umana: «Lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo è giunto al suo termine… Lo sfruttamento del globo, della natura esterna, diviene da qui in avanti il solo fine dell’attività fisica dell’uomo…» (14). Ci si aspettava che le caratteristiche dell’attività umana in generale sarebbero mutate, poiché la pace e la cooperazione avrebbero preso il posto della competizione e della guerra. Questo rovesciamento rivoluzionario che avrebbe posto fine una volta per tutte allo sfruttamento del lavoro umano, doveva essere il diretto risultato delle realizzazioni nel campo dell’industria, poiché, secondo i seguaci di Saint-Simon, la forma industriale di produzione è per natura pacifica e tendente all’armonia sociale. A quel tempo, questo giudizio non era proprio così ingenuo come appare oggi. Ma, soltanto dieci anni dopo, Marx e Engels dovevano dare inizio ai loro più penetranti studi sulla struttura e lo sviluppo del capitalismo e dell’industrializzazione. Il concetto di natura è una delle categorie più importanti, in tutti gli stadi dell’opera marxiana (15). L’interazione tra l’uomo e la natura mediante il lavoro era per Marx la chiave alla comprensione della storia; la scienza naturale e l’industria del diciannovesimo secolo rappresentavano la forma fino allora più altamente sviluppata della continua «relazione teorico-pratica tra gli uomini e la natura». Il difficile compito postosi da Marx fu mostrare che questa relazione aveva un duplice aspetto, i cui singoli lati, così profondamente interconnessi, dovevano essere distinti. Da una parte, infatti, l’uomo è egli stesso un essere naturale e la sua capacità di lavoro è soltanto una forma dell’energia della natura; dall’altra, però, l’uomo cerca di trasformare la natura, così da poter soddisfare i suoi crescenti bisogni: «[… Egli] contrappone se stesso, quale una fra le potenze della natura, alla materialità della natura. Mette in moto le forze naturali appartenenti alla sua corporeità, braccia e gambe, mani e testa, per appropriarsi i materiali della natura in forma usabile per la propria vita. Operando mediante tale moto sulla natura fuori di sé e cambiandola, egli cambia allo stesso tempo la natura sua propria. Sviluppa le facoltà che in questa sono assopite e assoggetta il gioco delle loro forze al proprio potere» (16). Marx abbozza qui a grandi linee la ‘dialettica’ di uomo e natura. Quest’ultima è il «campo d’impiego» di tutta l’attività umana, il terreno universale del processo lavorativo, comune a ogni forma di organizzazione sociale. Con la sua attività l’uomo cambia il mondo naturale, ma ne viene egli stesso mutato; le sue capacità creative si dispiegano, aprendo nuove possibilità di utilizzare le risorse naturali, e il processo continua indefinitamente. Marx intravedeva un mutamento qualitativo nello sviluppo umano sulla base delle potenzialità rivelate dal sistema industriale già alla metà del diciannovesimo secolo. La sostituzione della forza-lavoro con le macchine avrebbe gradualmente liberato l’individuo dall’incessante fatica, permettendo l’avvento di un nuovo tipo d’uomo, il quale «sta al di fuori del processo di produzione invece di essere l’agente principale del processo medesimo… In questa trasformazione, il fondamento della produzione e della ricchezza non è più il lavoro immediato compiuto dall’uomo, né il suo tempo di lavoro, bensì l’appropriazione della sua forza produttiva universale, cioè delle sue conoscenze e del suo dominio della natura tramite la sua esistenza sociale; in una parola, del suo sviluppo come individuo societario» (17)” (pag 81-83) [William Leiss, ‘Scienza e dominio. Il «dominio sulla natura»: storia di una ideologia’, Longanesi, Milano, 1976] [(14) ‘Doctrine Saint-Simonienne: Exposition’, p. 463; cfr. anche pp. 338-467; (15) Si veda l’eccellente studio di Alfred Schmidt, ‘Der Begriff der Natur in der Lehre von Marx’ e anche le parti sul pensiero marxiano in Jürgen Habermas, ‘Knowledge and Human Interests’. Nella sua interpretazine di Marx, Kostas Axelos, in ‘Marx, penseur de la technique: De l’aliénation de l’homme à la conquête du monde’, tenta (senza successo) di presentare il marxismo come una forma estrema di sansimonismo); un utile correttivo è l’opera di Jean Fallot, ‘Marx et le machinisme’; (16) Capital, vol I., p. 177 (Il Capitale, vol. I, pp. 211-2); (17) ‘Grundrisse der Kritik der politischen Ökonomie’, p. 593; la citazione è tratta da Herbert Marcuse, ‘One-Dimensional Man’, p. 36 (H. Marcuse, ‘L’uomo a una dimensione’, p. 55)]