“Sviluppando le indicazioni suggerite da Marx (82), si giunge allora a uno schema costruito in modo che la formazione del valore risulta compatibile con la circolazione. Questo schema rispetta dunque le esigenze della teoria del valore ricordate, cioè la concezione del valore come unità di produzione e circolazione. Ne risulta la necessità di distinguere tra mezzi di produzione in quanto merci e mezzi di produzione in quanto capitale. Un mezzo di produzione è, per ipotesi, prodotto come merce, il suo valore si esprime socialmente sul mercato, come tutte le merci. Una volta effettuato l’acquisto, entra nel processo di produzione e, dal punto di vista del valore, funziona unicamente in quanto valore d’uso (83). Lo schema costruito permette allora di associare al valore prodotto un valore d’uso composito o sociale, ottenuto mediante la combinazione lineare dei processi di produzione separati, o privati, inizialmente dati, in modo da rispettare le regole della formazione del valore (84). Possiamo concludere che la logica della formazione e circolazione del valore esclude la sua conservazione sulla base della permanenza dei mezzi di produzione materiale. In altri termini, la produzione di valore si concepisce ex nihilo. In tal modo è fondata la proposizione centrale di Smith sulla necessaria uguaglianza fra il valore e il reddito (85). Il che ci fornisce l’occasione di segnalar, senza chiarirlo, un paradosso. Marx, per primo, sottolinea che il valore è un rapporto sociale, e di conseguenza non una qualità delle cose, ma in fin dei conti mantiene una concezione fisicalista del processo di formazione del valore; Smith impernia la sua analisi sulla nozione di valore «reale» (cioè: il valore è nelle cose) e concepisce il processo di formazione del valore in termini di separazione logica tra valore e beni fisici (86). Notiamo infine che, nei termini della teoria di Smith, la categoria significativa per l’espressione del valore (come lavoro comandato) non è tanto il saggio di profitto (che, a sua volta, implica la nozione di costo e dunque di trasmissione del valore) quanto il saggio di partizione del valore formato. Questo ci introdurrebbe all’analisi delle condizioni di formazione del plus-valore e della riproduzione della forza-lavoro attraverso il processo di formazione del valore. Ma tali sviluppi ci farebbero uscire dai limiti della discussione sul pensiero di Smith” [Carlo Benetti, ‘Smith. La teoria economica della società mercantile’, Etas Libri, Milano, 1979] [(82) Alle quali si può aggiungere la distinzione significativa proposta nel cap. 6 del primo libro del ‘Capitale’ tra la riproduzione «apparente» del capitale costante e la riproduzione «reale» della forza lavoro. Cfr. K. Marx (1970), vol. I, p. 227: (83) Il valore che esso rappresenta è ormai associato alla sua qualità di capitale. Esso è dunque unicamente reperibile su un mercato dei capitali o mercato finanziario; (84) Si ritrova dunque formalmente un «sub-sistema» del tipo proposto da P. Sraffa (1960), appendice A, il cui prodotto netto rappresenterebbe il valore formato. La differenza fondamentale nei confronti del sub-sistema si situa al livello interpretativo; (85) La critica di Marx alla posizione di Smith è stata recentemente ripresa F. Vianello (1973) che, come Marx, sembra considerare evidente la reintegrazione del capitale costante al di fuori della relazione di scambio (in tal caso, la nozione di «valore» non è niente di più che una semplice e nello stesso tempo problematica contabilità di oggetti fisici in termini di «lavoro», salariato o concreto). (…); (86) È ovvio che la nostra esposizione rappresenta una razionalizzazione di una posizione fondamentale che Smith è lungi dal mantenere sempre in modo rigoroso. Marx ha giustamente notato l’evidente oscillazione del suo pensiero, quando, dopo aver riaffermato che il valore si risolve in redditi (p. 278), Smith propone una distinzione tra reddito lordo e reddito netto che contraddice l’affermazione precedente, in quanto essa si riallaccia a una concezione del valore come differenza tra valore del prodotto (reddito lordo) e valore del capitale costante. Quest’ultima distinzione è a sua volta oscurata quando Smith dice nello stesso tempo che le spese di mantenimento del capitale fisso di un individuo o di una società, non entrano a far parte del reddito lordo o del reddito netto di entrambi» (p. 282). Tutte queste confusioni giustificano il giudizio di Marx secondo il quale, su questo punto, Smith è «del tutto disorientato» (K. Marx (1961), p. 205 e, più generalmente, il § 8 del cap. 3). Una parte di questi problemi sarà riconsiderata nel cap. 6] (pag 73-74-75) [Carlo Benetti, ‘Smith. La teoria economica della società mercantile’, Etas Libri, Milano, 1979] [bibl.: Vianello, 1973, ‘Pluslavoro e profitto nell’analisi di Marx’ in P. Sylos-Labini, a cura, ‘Prezzi relativi e distribuzione del reddito’, Boringhieri, Torino; Marx, 1961, ‘Teorie sul plusvalore’, vol. I, trad. it., G. Giorgetti, Ed. Riun.]