“Quando nel 1922 Rodolfo Mondolfo pubblicò il suo volume: ‘Libertà della scuola. Esame di Stato’, nel quale raccolse ed elaborò i principi già espressi in saggi ed articoli precedenti, le posizioni dei nazionalisti erano pienamente manifestate, i fascisti avevano portato a termine con la forza la disgregazione delle organizzazioni proletarie, le istanze dei democratici e degli idealisti erano state travolte dall’ondata della violenza. Fu facile a Mondolfo dimostrare, alla luce dei fatti, che non soltanto i liberali, i radicali, i democratici, ma anche i socialisti dell”Avanti’ avevano avuto torto nel difendere la libertà della scuola e l’esame di Stato. Il volume del Mondolfo riassume logicamente tutte le riserve e le critiche che si potevano muovere alla politica scolastica nata dal connubio liberale-clericale da un punto di vista veramente democratico. Il Mondolfo si rifà alle dottrine di Engels e di Marx, per rintracciare il filone vivo di un’azione veramente socialista nel campo dell’educazione. «I disegni del Gentile, del Croce e d’altri – scrisse – di limitazioni del numero delle scuole medie di Stato, con esame di concorso per acquistarne l’accesso significherebbero un grave passo indietro. E gli effetti non tarderebbero a farsene sentire dolorosamente, chiudendo la classe lavoratrice sempre più nell’ambito della scuola elementare e professionale e quindi rendendo più difficilmente sormontabile il limite del suo interessamento ai problemi dell’istruzione, relativo (naturalmente) al grado della partecipazione al godimento di questa. «Occorre che la scuola come reclamava Engels fino dal 1847 nel primo abbozzo del ‘Manifesto dei comunisti’, sia in tutti i suoi gradi funzione sociale, compiuta dallo Stato ed aperta a tutti. Di questa il proletariato ha bisogno perché non siano insuperabili le disparità di condizione originarie tra i fanciulli che escono dalle varie classi sociali; dalle più colte e dalle ancora incolte…» (1). Questo richiamo alle teorie di Marx ed Engels fu accentuato in un momento successivo, dall’opera e dal pensiero di Gramsci. Commentando il progetto di diminuire le scuole medie statali con la giustificazione di riversare maggiori fondi sulla istruzione elementare, Gramsci svolse uno dei concetti fondamentali della politica scolastica comunista: il conetto che è un errore restringere l’interesse del lavoratore alla scuola elementare e professionale. «Nella scuola attuale – egli scrisse – per la crisi profonda della tradizione cultura e della concezione della vita e dell’uomo, si verifica un processo di progressiva degenerazione: le scuole di tipo professionale, cioè, preoccupate di soddisfare interessi pratici immediati, prendono il sopravvento sulla scuola formativa, disinteressata. L’aspetto più paradossale è che questo nuovo tipo di scuola appare e viene predicata come democratica, mentre invece essa non solo è destinata a perpetuare le differenze sociali, ma a cristallizzarle in forme cinesi» (2)” (pag 249-250) [Dina Bertoni Jovine, ‘La scuola italiana dal 1870 ai giorni nostri’, Editori Riuniti, Roma, 1980] [(1) Rodolfo Mondolfo, ‘Libertà della scuola: esame di Stato’, ed. 1922, pag 97; Antonio Gramsci, ‘Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura’, Einaudi, 1949, pag 114]