“Terremo conto, naturalmente, delle distanze che separano le nazioni più avanzate d’Europa: Inghilterra e Olanda da una parte, Francia dall’altra; così come di ciò che le differenzia dallo stato degli altri paesi del continente. Ci sforzeremo in ogni caso di cogliere, assieme alle disuguaglianze, eventuali affinità di sviluppo. Anche le idee e ‘les moeurs’ vanno esaminate con una continua attenzione ai tempi diversi in cui i vari settori dell’attività umana si vanno realizzando, alla loro diversa dinamica; nonché alla relazione ai differenti strati sociali. « (…) i singoli capitalisti danno la caccia, ognuno per se stesso, al maggiore profitto. L’economia borghese scopre che questa caccia di ogni singolo al maggiore profitto ha come risultato l”uguale’ saggio generale di profitto, il saggio di profitto approssimativamente uguale per ognuno. Ma né i capitalisti né gli economisti borghesi sono consapevoli del fatto che la vera meta di questa caccia è l’eguale divisione percentuale del plusvalore complessivo per il capitale complessivo. Ma come si è svolto in realtà il processo di livellamento? È questo un punto assai interessante, su cui lo stesso Marx non dice molto. Ma l’intera concezione di Marx non è una dottrina, bensì un metodo. Non dà nessun dogma già pronto, ma punti di appoggio per una ulteriore indagine e il metodo per questa indagine. Qui c’è dunque da fare una parte di lavoro che Marx in questo primo abbozzo non ha egli stesso elaborato. A questo proposito abbiamo innanzi tutto le indicazioni alle pp. 153-156, III, I, che sono importanti anche per la Sua esposizione della teoria del valore e dimostrano che essa ha o aveva più realtà di quanta Lei gliene attribuisca. All’inizio dello scambio, allorquando i prodotti si stavano man mano trasformando in merci, si facevano degli scambi approssimativamente ‘in rapporto al valore’. Il lavoro applicato a due oggetti era appunto l’unico criterio del loro confronto quantitativo. Quindi il valore aveva a quel tempo ‘un’esistenza reale immediata’. Che questa immediata realizzazione del valore nello scambio è cessata, che ora non esiste più, lo sappiamo. Ed io credo che non Le sarà troppo difficile mostrare, per lo meno nel complesso, gli anelli intermedi che da quel valore immediatamente reale conducono al valore della forma di produzione capitalistica, che è così profondamente occultato che i nostri economisti possono tranquillamente negarne l’esistenza. Una vera esposizione storica di questo processo, che a dire il vero richiede molto studio ma che promette anche risultati che lo ricompenserebbero ampiamente, sarebbe un completamento molto prezioso del «Capitale»” (Friedrich Engels a Werner Sombart). Che con le succitate indicazioni lo Engels interpretasse puntualmente il pensiero di Marx, è un problema che non possiamo affrontare in questa sede. Si tratta della vecchia questione dei rapporti tra Marx ed Engels. È un esame che va affrontato in primo luogo sul terreno filologico, con i testi da riscontrare puntualmente; in secondo luogo, con riferimento al contesto in cui Engels – dal 1883, anno della morte di Marx, al 1895, l’anno della sua scomparsa – si trovò ad amministrare l’eredità del suo compagno di lotta, e ad agire, in un quadro diversamente condizionante, divergenze di mentalità a parte. Ci troviamo di fronte, insomma, l’ultimo Engels, su cui va fatta ulteriore luce (13). Bisogna poi tener presente che Marx è un pensatore estremamente indipendente. Ciò spiega certe sue insofferenze e intemperanze nei confronti di esponenti della cultura accademica del tempo” (pag 159-160) [Dal Capitolo V. Mercantilismo, cultura e società nell’Europa del secolo di Luigi XIV, di Antonello Scibilia] [(in) ‘Le radici intellettuali del progresso economico moderno’, a cura di Antonio Petino, Franco Angeli, Milano, 1986] [(13) La lettera di Engels a Sombart è dell’11 marzo 1895. Traduzione italiana nel vol. L delle ‘Opere complete’ di Marx ed Engels, pp. 460-462 (…)]
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- Articolo pubblicato:4 Giugno 2021