“Ma quando l’agognata rivoluzione mancò di concretizzarsi in Europa, Lenin fu costretto a riconsiderare la sua strategia. Consapevole dei diffusi disordini in Oriente, in particolare in India, cominciò a concentrare lì la sua attenzione. Già nel 1882, Engels profetizzò una rivoluzione nell’India britannica. Lenin, invece, aveva sempre creduto che la liberazione dei popoli oppressi in Asia e Africa avrebbe seguito la rivoluzione in Europa. E ancora lo credeva. Cominciò però a considerare che, se fosse riuscito a spogliare le potenze europee delle colonie, o se il loro dominio di minoranza fosse diventato insostenibile, questo le avrebbe minate economicamente al punto da rendere inevitabile la rivoluzione in patria. “L’Oriente” ammoniva “ci sosterrà nella conquista dell’Occidente. Concentriamo l’attenzione sull’Asia”. Incendiare l’Oriente divenne quindi il mantra del Comintern, laddove l’India sarebbe stata il punto di partenza di una conflagrazione che avrebbe distrutto l’imperialismo. Lenin considerava infatti l’Inghilterra, allora la maggiore potenza imperialista, l’ostacolo più grande del suo sogno di una rivoluzione mondiale. “L’Inghilterra” dichiarò “è il nostro più grande nemico. È in India che dobbiamo colpirla con forza”. Tutto ciò, però rappresentava una devianza dall’ortodossia marxista, ancora sacrosanta per i bolscevichi, per cui il Secondo Congresso del Comintern, che si tenne nell’estate 1920, si trovò a dover risolvere il problema. Solo allora poterono essere elaborati piani dettagliati per il lancio di una campagna di sovversione e insurrezione in Asia. Per farlo, tuttavia, Lenin doveva risolvere un problema. Né lui né nessuno dei dirigenti rivoluzionari aveva alcuna esperienza diretta della situazione nei territori coloniali, come del resto nemmeno lo stesso Marx. Chi poteva aiutarli meglio tra coloro che cercavano la liberazione dal giogo britannico? A distinguersi fra i delegati asiatici al Congresso c’era un giovane rivoluzionario indiano, alto e con gli occhi ardenti, di nome Manabendra Nath Roy (come per molti presenti, non era il suo vero nome, che era invece Bhattacharya). Descritto in un rapporto di informazione del governo indiano come “pericolosissimo cospiratore (…) ambizioso, energico e senza scrupoli”, era di gran lunga il più esperto e raffinato dei rivoluzionari indiani e l’unico che Lenin era disposto a prendere sul serio. Intelligentissimo, proveniente da una rinomata famiglia di bramini, Roy cominciò la carriera rivoluzionaria da adolescente nel natale Bengala, come estremista di una società segreta visceralmente antibritannica. I suoi piani per il rovesciamento violento del regime britannico in India erano finanziati con rapine a mano armata. Allo scoppio della guerra i suoi capi si erano rivolti con grandi speranze alla Germania per le forniture di armi. Roy era coinvolto nel tentativo di contrabbandare una di queste spedizioni a Calcutta, quando il piano venne scoperto dai britannici, che fecero irruzione negli uffici di una ditta di comodo chiamata Harry and Sons, che i cospiratori usavano come copertura. Allo stesso tempo la consegna di armi promessa, che Roy aspettava a Giava, non si concretizzò. Ricercato per tradimento dalle autorità britanniche, Roy fuggì negli Stati Uniti passando per Cina e Giappone, ancora neutrali, travestito da barbuto prete cattolico dell’India occidentale. Molto presto, però, venne ricercato anche dalla polizia americana e fu costretto a fuggire in Messico. In America centrale un agente esperto del Comintern, Michail Borodin, lo notò e lo iniziò agli inebrianti misteri del marxismo e ai segreti dei rivoluzionari di professione. L’indiano e il russo, ormai amici affiatati, fondarono in Messico il primo Partito comunista al di fuori della Russia. Per entrambi il destino aveva in serbo posizioni di rilievo nel mondo clandestino del Comintern, ma anche la caduta in disgrazia sotto il regime di Stalin” (pag 139-141) [Lenin-Bibliographical-Materials] [LBM*]